Possente
Scorci letterari
pos-sèn-te
Significato Potente; maestoso, grandioso
Etimologia dal latino posse ‘potere’, attraverso il francese antico poissant.
Parola pubblicata il 14 Novembre 2016
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Non giriamoci intorno: che differenza c’è fra ‘possente’ e ‘potente’? Non sono forse due fagioli dello stesso baccello? Sì, ma la differenza c’è, e per quanto sottile è sensibile.
Solo in certi casi il possente si può sovrapporre al potente: la possente (o potente) tempesta si abbatte sul porto, lo Stato vanta un esercito possente (o potente), il giardiniere tronca l’albero con possenti (o potenti) colpi di scure.
Ma mentre il potente è chi o ciò che ha un potere (o che lo esercita), il possente porta il segno del potere - di evidenza solare, di grandiosa maestà: un uomo potente può essere invisibile, un uomo possente ha una colossale aura fisica di potere. Nel possente, il potere è manifesto, pesante, imponente. Così le mura di una fortificazione sono possenti, più che potenti; è possente la voce non che si leva con volume alto, ma che ispira potere; è possente il verso di vigore formidabile, che torreggia nella poesia, il cui potere non può non essere riconosciuto.
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(Leopardi, Il pensiero dominante, vv. 1-2 e 16-20)
Dolcissimo, possente
Dominator di mia profonda mente […]
Ratto d’intorno intorno al par del lampo
Gli altri pensieri miei
Tutti si dileguàr. Siccome torre
In solitario campo,
Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei.
Leopardi non nomina mai il suo pensiero dominante, forse perché la parola “amore” è troppo abusata per servire allo scopo. Lo definisce, però, con una strana coppia di aggettivi: “dolcissimo” (in allitterazione con “dominator”) e “possente”.
Così la dolcezza perde la sua punta melensa, caricandosi di una forza virile e innovativa. La potenza, poi, non appare come un’imposizione esterna e rapace, bensì come una bontà tanto pervasiva da essere incontrastabile. Sue caratteristiche sono la solidità e la magnificenza: l’amore infatti è paragonato ad una torre, che giganteggia nella mente dopo aver scacciato ogni altro pensiero.
Dunque, a paragone delle meschinità che ci occupano solitamente, l’amore è “possente” perché veramente grande, eroico (anche con una sfumatura bellica).
Notiamo che Leopardi non sta parlando dell’amore in astratto, ma del pensiero dell’amore, illustrandoci i suoi effetti. Anzitutto esso agisce sulla “profonda mente”, ossia sui punti nevralgici dell’umano, che in parte sfuggono alla comprensione. La conseguenza paradossale è la solitudine (il “solitario campo”): l’amore ci mette di fronte a noi stessi, interrogandoci con urgenza sul senso dell’esistere.
E proprio qui sta, per Leopardi, la contraddizione. L’amore ci mostra la vanità di tutte le cose (possente), eppure ci suggerisce che la vita è degna di essere vissuta (dolcissimo). È un’illusione come le altre, ma è la sola ad avere la forza della verità.
Del resto l’amore è sempre stato definito per antitesi: è un mistero in cui gli opposti si incontrano. Non a caso è spesso collegato alla divinità (gli aggettivi leopardiani sono frequenti anche nel linguaggio mistico).
Insomma è un’evidenza inspiegabile, che sconvolge gli ordinati schemi della ragione. Se Leopardi fosse stato un filosofo puro, forse non ne avrebbe tenuto conto: ma la logica poetica sopporta anche la contraddizione e, probabilmente, coglie una verità più profonda di quella razionale.