Provare

pro-và-re (io prò-vo)

Significato Sperimentare, tentare; mettere alla prova; dimostrare

Etimologia dal latino probare ‘riconoscere che una cosa è buona’, da probus ‘buono, di buona qualità, onesto’.

Non che questa parola susciti perplessità, nell’uso, anzi ha un volto così noto da essere noioso. Il provare un’ipotesi o un teorema, un abito, il provare un’emozione o un nuovo gusto di gelato, il provarci ci sono totalmente consueti, sia nell’idea astratta, sia nell’esperienza concreta. Una parola che sembra non nasconda nulla. Ciò nonostante, se vogliamo, possiamo grattare qualche però vertiginoso.

Se la trama di significati e sfumature che si dipana da questo verbo ci sostiene in un’ampia parte dello svolgimento dei nostri pensieri, il modo in cui ha preso forma è sottile, e scaturisce da un concetto inatteso: il probus latino.

Probus significava sì ‘onesto’ — tale è il significato italiano di ‘probo’ — ma aveva una portata perfino più vasta: il probus era nel più ampio genere il buono, di buona qualità, abile, retto. Infatti il verbo probare ha avuto i primi significati di ‘trovar buono, apprezzare’: un po’ quelli che colleghiamo all’approvare, insomma. Ma prende presto anche i nostri significati di provare, sperimentare, collaudare, esaminare.
Detto questo, basta un briciolo di giudizio per porsi il problema: ma che passaggio di signifcato è? Fra l’approvare e lo sperimentare c’è una bella differenza, no? Se anche mi provo la camicia, non è detto che l’approvi.

Da questo punto si accede a uno dei crinali più riposti, in ombra ma inevitabili del nostro pensiero, l’affinità fra ciò che è buono e ciò che è.
Pensiamo al caso del positivo. Il positivo in origine ‘viene posto’, è storico, certo, concreto, affermato. Un dato positivo è innanzitutto il dato che si fonda sul reale. E però se sentiamo parlare di un dato positivo, pensiamo a un dato buono. Se si parla di pensiero positivo, non si considera tanto un pensiero pragmatico e certo, quanto un pensiero volto al favore e al miglioramento.

Il probare, dal ‘riconoscere che una cosa è buona’ ha sconfinato nel ‘riconoscere che una cosa è’, nel farne esperienza. Faccio esperienza di un’ipotesi nata per essere verificata o falsificata, faccio esperienza dell’abito sul mio corpo, faccio esperienza dell’amore, della rabbia, dell’invidia, e faccio esperienza dell’abbinamento pistacchio-limone. Anche il provare nel senso di fiaccare conserva questo tratto: il duro periodo che ci prova ci passa a un vaglio: il suo non è un mero indebolirci.
È uno sconfinamento prezioso, perché ha proprio l’aria di essere uno degli sparuti ottimismi che abbiamo consegnato alla lingua — e però profondamente centrale. La linea di tensione costruttiva di un antico ‘approvare’ viene trasmessa nella sperimentazione generale del mondo, ai suoi tentativi.

E c’è qualcosa di profondamente risonante, nella concezione di una vita che si sviluppi nel vedere che c’è di buono.

Parola pubblicata il 10 Dicembre 2021