Ottimismo
ot-ti-mì-smo
Significato Tendenza a valorizzare gli aspetti migliori della realtà e ad aspettarsi sviluppi futuri favorevoli. In senso filosofico designa propriamente la dottrina di Leibniz esposta nella ‘Teodicea’, secondo cui Dio, tra gli infiniti mondi possibili, avrebbe creato il migliore; più in generale si riferisce a ogni concezione che consideri il mondo essenzialmente buono, in quanto regolato dalla volontà divina o da un principio razionale
Etimologia dal francese optimisme, derivato dal latino optĭmus ‘ottimo’ e introdotto dal periodico gesuita “Mémoires de trévoux” per definire il quadro filosofico di Leibniz. Il termine si è poi diffuso grazie a Candide ou L’optimisme di Voltaire (1759).
Parola pubblicata il 02 Agosto 2021
Parole d'autore - con Lucia Masetti
La lingua cresce con la letteratura – e noi abbiamo un bel mucchio di parole inventate da letterati, rese correnti da autori celebri, o che nascono da opere letterarie. Scopriamo insieme queste belle parole dietro alle quali si può sorprendere una mano precisa.
«Non importa che parlino bene o male di voi, l’importante è che ne parlino» è la prima regola che le parole in erba apprendono alla Scuola per Giovani Neologismi Promettenti. E quello di ottimismo è un caso da manuale.
L’infanzia di questo termine fu, per la verità, molto rispettabile. Nipote d’un teologo, allevato dai gesuiti, possedeva una visione della vita armoniosa e pia, in cui tutto trovava giustificazione nei voleri di Dio, autore del miglior mondo possibile.
Col tempo, però, egli cominciò a mostrare un’indole superficiale e cocciuta, che lo rendeva cieco agli aspetti negativi dell’esistenza. Questo gli attirò le critiche di Voltaire, che gli regalarono una fama equivoca, sì, ma ampia e durevole.
In quest’epoca ‘ottimismo’ aveva un significato diverso da quello di oggi. Il futuro lo interessava poco, dal momento che il mondo era ai suoi occhi già perfetto e immutabile. Pian piano tuttavia questa dimora semantica cominciò a sembrargli un po’ stretta e – lasciatola in custodia al meno noto ‘panglossismo’ – andò a far fortuna per il mondo. Oggi ama presentarsi in società sotto il nome di ‘pensiero positivo’, sventolando amichevolmente un bicchiere mezzo pieno; ha stretto inoltre amicizia con la speranza, della quale tenta spesso di spacciarsi per gemello.
Insomma ha acquisito un significato doppio, unendo la valorizzazione del presente alla fiducia verso il futuro. Del resto si tratta di due aspetti quasi sovrapponibili, anche se definizioni maliziose possono giocare su questa ambiguità semantica: «Il pessimista è quello che dice che peggio di così non può andare. L’ottimista è quello che dice: ma sì, ma sì!»
Va detto, comunque, che nonostante i suoi sforzi ‘ottimismo’ non è mai riuscito a riabilitarsi del tutto. Ha i suoi momenti di trionfo, quando le strade traboccano della scritta: «Andrà tutto bene!» Ma poi ricade in disgrazia. Il suo problema è che ha un carattere troppo entusiasta: fa promesse che non può mantenere, casca sugli ostacoli perché non li vede in tempo.
Non per nulla porta quel codino, il suffisso -ismo, famoso per la sua capacità di esasperare negativamente un concetto di per sé neutro o positivo (il buonismo, il nazionalismo…).
Per questo molti hanno preso le distanze da lui, preferendogli la compagnia di concetti più complessi. Ad esempio Vaklav Havel ha scritto: «L’ottimismo è credere che una cosa andrà bene; la speranza è credere che una cosa abbia significato, comunque andrà».
Altri invece hanno cercato di riappacificare l’ottimismo con il suo fratello-rivale, nella convinzione che solo insieme possano dare il loro meglio. «Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà» è il celebre motto di Gramsci, che abbina la consapevolezza dei problemi all’energia positiva per risolverli.
Una terza via è quella aperta da Seligman negli anni Novanta. Questo psicologo americano ridusse l’ottimismo alla sola tensione al futuro, lo ripulì delle componenti più ingenue e lo rilanciò come ingrediente imprescindibile di benessere e successo.
Tre sono le tendenze cognitive che lo caratterizzano: 1. Non vedere le situazioni negative come immutabili; 2. Concentrarsi su un problema alla volta, senza pensare che la vita intera sia orribile; 3. Sentirsi responsabile di una situazione abbastanza da impegnarsi per cambiarla, ma senza darsi la colpa di ogni cosa.
Emigrando in America, insomma, ‘ottimismo’ si è reinventato: dal pacioso chierichetto che era è diventato Bob l’aggiustatutto, un tipo energico e pragmatico che a Voltaire non sarebbe dispiaciuto.