Raca

Parole semitiche

rà-ca

Significato Voce che compare nel Vangelo secondo Matteo come insulto; ingiuria che sottolinea la stupidità e la pochezza di una persona

Etimologia adattamento, attraverso il greco neotestamentario rakà dalla parola aramaica reqā, cioè vuoto, stupido, da rīq, ovvero vuoto, forse derivato da una parola accadica o da una parola caldea.

Questa parola si trova nel Vangelo secondo Matteo, e in alcuni alti esempi letterari — ma può avere una sua ricercata utilità. Andiamo con ordine e partiamo dal brano neotestamentario che la contiene e che ha dato il la al concerto.

Matteo, 5, 22,: «chi dirà al suo fratello ‘raca’, sarà sottoposto al sinedrio». Bene, ma non molto chiaro: che cosa si intende con ‘raca’ e perché pronunciarlo è cosa sì grave da meritare il giudizio di fronte al tribunale? Guardiamo al contesto: siamo nel pieno del Discorso della Montagna, Gesù ha appena enunciato le beatitudini («Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. [...]») e ora parla della nuova legge di amore e rispetto reciproco che è venuto a dare agli uomini. Pochi versetti dopo pronuncerà il famoso ‘porgi l’altra guancia’. Insomma, siamo nel cuore del messaggio cristiano — ed è uno dei motivi per cui questa rara parola ha continuato a girare.

‘Raca’ è una voce aramaica, di probabile origine accadica o caldea, non si sa con certezza, che molto semplicemente significa ‘stupido, testa vuota’. In breve, Cristo dice che chi insulta il proprio fratello dovrà rendere conto di questo atto d’odio, perché il peccato, come viene espresso nella parte della messa chiamata Confiteor, avviene in “pensieri, parole, opere e omissioni”. E sì, nel discorso di Gesù l’offesa è considerata estremamente grave, perché essa corrompe lo spirito e apre la porta che conduce poi dalla parola all’atto.

Raca è una parola che fin da subito non è stata tradotta. In italiano non è entrata da sola, ma si è accomodata in locuzioni ricorrenti. La ritroviamo infatti in scrittori del calibro di Pascoli e Carducci, addirittura Mazzini, sempre in espressioni come ‘gridare raca di qualcuno’, ‘dire raca a qualcuno’.

Ecco perché, certamente, come insulto in sé non è dei più efficaci: l’offesa, per toccare le corde più sensibili e andar dritta al punto, deve essere immaginifica, concreta, deve saper parare davanti agli occhi il brutto e lo squallido, prendere i capelli. Raca… semplicemente a noi non dice nulla!

Ma possiamo trovare casi in cui un ricercato non-insulto può avere un giusto posto, facendoci ispirare dall’uso che ne hanno fatto alcuni grandi delle nostre lettere. E allora potremo protestare per l’atteggiamento permaloso di un amico che presume molto di sé rispondendogli “Ma smettitela, t’avessi detto raca!” (in una versione ricercata del romanesco “t’ avessi detto cotica”), ornare un periodo in un discorso elevato iniziando con un serio “La frangia più conservatrice mi griderà raca, cionondimeno io…”, o raccontare di come certa gente dotta dica raca ad ogni critica.

Discorso che vai, parole che trovi utili. Abbiamo spazio per insulti che non siano brucianti e beceri, nella nostra lingua: basta tendere l’orecchio a duemila anni fa.

Parola pubblicata il 31 Dicembre 2021

Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini

Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.