Squallido
squàl-li-do
Significato Che è in stato di abbandono, fatiscente, e ispira repulsione e tristezza; moralmente spregevole, abietto; consunto
Etimologia dal latino squàlidus ‘sudicio, trascurato’.
- «Era uno squallido tugurio, l'ha trasformato in una tana accogliente.»
Parola pubblicata il 02 Aprile 2025
È una parola d’importanza fondamentale, corrente in discorsi alti e bassi, e anzi sappiamo distinguere ciò che è squallido da ciò che non lo è come distinguiamo i pari e i dispari. Eppure è difficile da cogliere nel suo senso generale, perché giriamo continuamente intorno al suo nucleo senza mai esplicitarlo. Poche volte mi sono sentito perso come ieri sera che mia figlia di sette anni mi ha chiesto «Babbo, ma che cosa vuol dire ‘squallido’?».
Partiamo dal principio.
Nel Trecento inizia ad essere usato ‘squallido’ come prestito dal latino squalidus, termine ricco di significati: è sudicio, è trasandato, è incolto, è ruvido. Deriva da un arcaico squalus, ‘sporco’, di origine ignota.
In effetti la sua prima batteria di significati è quella che si attaglia a luoghi: lo squallido è desolato, misero, degradato — ma ciò che più conta, è deprimente.
Lo sappiamo bene: esistono luoghi fatiscenti che però ispirano qualcosa; sono vivaci, emozionanti — pensiamo al rudere di una chiesa silvestre in cui ci avventuriamo a nostro rischio, pensiamo alle sale sotterranee dell’ex complesso industriale in cui si tiene la festa, pensiamo alla bettola del porto. Lo squallido fa un’impressione cupa, sinistra, che rende il laido e il trascurato lugubre e mesto in maniera ributtante.
Allo stesso modo lo squallido si declina in una dimensione morale. È abietto, spregevole, ma non con un’immoralità brillante, con un vitalismo titanico. Fa pena, mette tristezza, è incrostato di male, è eticamente sciatto. È squallida la tresca priva di desiderio, è squallida la pervicacia di un rancore insensato, mentre una persona squallida cerca con grande urgenza di farsi credere più di quel che è.
Nel passato della nostra lingua abbiamo la fortuna di avere un dizionario maestoso messo insieme nell’Ottocento, il Tommaseo-Bellini — pieno di ingenuità, per carità, di quelle che sempre riconosciamo nel passato della scienza. Ma è anche pieno di sottigliezze d’intelligenza estrema. E nel definire lo ‘squallido’, prima di affannarsi su tutti i casi di abbandono, abiezione, consunzione, annota semplicemente «Di trista apparenza, Che esprime e mette tristezza.»
Ecco, lo squallido è chi o ciò che mette tristezza — non con la sua drammaticità, con la sua sfortuna, con i suoi toni saturnini e malinconici, ma con la sua trascuratezza, con la sua miseria, con il suo stato di abbandono concreto o ideale. E non è una tristezza accogliente, come molte tristezze sanno essere: è una tristezza repellente. Un disordine smorto, tetro, che gira anche lo stomaco, da cui ci si vuole solo allontanare.
Continuiamo pure a usare questa parola come abbiamo sempre fatto, inseguendo e ripercorrendo usi già rodati. Ma con la consapevolezza del suo nocciolo di senso prende più ordine, più versatilità, più smalto.