Maestosità
ma-e-sto-si-tà
Significato Caratteristica di chi o ciò che è maestoso
Etimologia da maestoso, derivato di maestà, che è dal latino maiestas ‘grandezza, autorità, solennità’, a sua volta da maius, ‘più grande’.
- «La fontana colpisce per la sua maestosità.»
Parola pubblicata il 15 Febbraio 2024
Sì, certo, interessanti i nuclei di significato delle parole, ma la potente magia delle sfumature sta tante volte nella stratificazione di roba che viene incastrata in testa o in coda a una parola. Perché si dice maestosità se abbiamo già la maestà?
Dopotutto, la maestosità è la caratteristica di ciò che è maestoso, e il maestoso è ciò che è pieno di maestà. Che differenza ci dovrebbe essere fra la caratteristica di ciò che ha maestà… e la maestà? Come vedremo, è una questione sottile ma tutt’altro che bizantina.
La maestà è uno di quei termini che attingono a una vena primaria della lingua, a una successione di derivazioni latine di importanza fondamentale: ‘maestà’ è da maiestas, che deriva da maius, ‘più grande’, il quale è parente di magnus, uno dei termini più famosi della lingua latina, che significa ‘grande’. Questo, come forse annusiamo, è un ramo che nasce da una radice precedente, che ramifica in tante lingue della famiglia indoeuropea con significati di grandezza fisica e morale.
In italiano ‘maestà’ è un termine estremo, nella sua semplicità. La maestà di una persona, di un panorama, di un edificio, di un dipinto sono la qualità estrema di grandezza che possano avere — una grandezza che è imponenza, solennità, magnificenza (vedi? ci stiamo già mordendo la coda, la magnificenza ritorna al solito magnus). È il carattere di grandezza originario, distillato, puro, la più schietta e travolgente impressione che la grandezza possa suscitare. Infatti abbiamo una certa ritrosia a notarla, a riconoscerla. Ci affidiamo volentieri a formule cristallizzate o molto rodate che stemperano questa sensazione — come chiamare ‘maestà’ una testa coronata, o pensare alla maestà di figure teologiche —, perché altrimenti ne accusiamo tutto il peso.
Ora, mentre la maestà è vecchia quanto la lingua italiana, il maestoso compare a Rinascimento inoltrato e la maestosità è ottocentesca. Il maestoso, con questo suffisso -oso, ci parla quantitativamente di qualcosa o qualcuno che ha ‘molta maestà’, il che già è una sbavatura. La maestà è somma, e tratteggiare un sacco di maestà denota un po’ troppo entusiasmo.
Potremmo pensare che la maestosità voglia essere perfino più della maestà. Dopotutto è il carattere non di chi o ciò che ha maestà, ma piuttosto è pieno di maestà. E poi la parola è più lunga, si strascica come un pensante mantello bordato d’ermellino. Ecco, osserviamo questo meccanismo della lingua: paradossalmente, il troppo può mascherare e alleggerire — diluire un significato troppo esplicito e troppo severo.
La maestosità del tramonto del sole dietro al Sorapiss, la maestosità del corteo di Teodora e Giustiniano nei mosaici di San Vitale a Ravenna, la maestosità del ponte romano di Alcántara hanno un tratto più addomesticato, più adatto a guide turistiche e brochure, e a racconti che non devono scendere troppo in profondità. La maestosità, in questa sua sorta di esagerazione, è grossa, condivisa, e più esteriore. Addirittura Tommaseo, autore di un famoso dizionario ottocentesco, nei primi decenni di vita di questa parola annota che la maestosità ha qualcosa di ironico, piuttosto che di riverenza e di lode.
Se parlassi della maestà di un tramonto, della maestà di un mosaico, della maestà di un ponte, mostrerei un sentimento schietto che mi investe con commozione intensa — in certi casi, troppo, potrebbe essere considerata un’apertura esagerata, inopportuna. Mi mostrerei nel gesto di chinare il capo, di togliermi i sandali, forse di inchinarmi, incredulo davanti a una meraviglia tale. La maestosità è più ingombrante ma pretende di meno — anche meno coinvolgimento.
Inoltre la maestà richiede una minore grossezza materiale: posso anche ammirare la maestà di una statuetta vecchia di decine di migliaia di anni che sta nel palmo di una mano, non la sua maestosità. Tant’è che oltretutto la maestosità, se non intesa in senso ironico, si attaglia in maniera meno pulita a figure umane — mentre la maestà, per quanto sia un attributo di vertice, nasce cucita sulla figura umana, sull’autorità che ne promana, sulla sua sovranità.
Così certo, posso parlare della maestosità del panorama che tutti si apprestano a fotografare, della maestosità della parmigiana di melanzane che viene portata in tavola, della maestosità della panza che lo zio ha messo su quest’inverno. Ma è importante, sotto a questo termine, sentir vibrare la schiettezza della maestà, così vicina eppure tanto diversa.