Sarchiapone

sar-chia-pó-ne

Significato Qualcosa di non esistente, ma creduto esistente da chi ne sente parlare per allusioni; come regionalismo, uomo corpulento, uomo tonto o ipocrita

Etimologia etimo incerto.

  • «Guarda che l'apparecchio che dice di aver brevettato è un sarchiapone.»

Questa buffa parola vive una doppia vita. Una tradizionale di regionalismo, viva negli usi e sfumata nella trama di significato, e una completamente nuova, cominciata negli anni ‘50 a partire da un celebre sketch comico, molto più precisa e complessa. Curiosamente, non sembra che siano legate da più che una suggestione.

Come regionalismo si colloca in particolare fra Napoli e l’Abruzzo, e descrive un tipo umano: a partire da una descrizione che insiste sul carattere corpulento e goffo, arriva al credulone e allo sciocco — ma anche al finto tonto. Quindi, in questi termini, posso parlare di come il sarchiapone che mi si è seduto accanto (anzi quasi addosso) in autobus fosse estremamente ciarliero e simpatico, della sarchiapona che si è fatta menare per il naso dalla venditrice, o del sarchiapone che ha messo le piastrelle prima di rifare l’impianto, o del sarchiapone che per sbaglio aggiunge roba alla spesa che facciamo da lui.
Un uso molto espressivo, che gode di una bella sonorità per indicare qualcosa di abbastanza semplice e sfumato. Peraltro l’etimologia è incerta e dibattuta.‘Sarchiapone’ è anche un nome di persona, nell’area napoletana, e potrebbe essere passato a indicare questo tipo (è piuttosto comune che in un orizzonte locale questo avvenga); ma potrebbe anche essere un’alterazione di un altro nome — c’è chi propone un ‘fra Jacopone’, ma siamo nel campo della speculazione. Molto più difficile che abbia l’origine greca che a volte si trova riportata, imperniata su sarx, ‘carne’: per quanto allettino come patenti di nobiltà, i grecismi nelle voci vernacolari sono rari.

Ad ogni modo questo regionalismo avrebbe vissuto la sua serena vita senza scossoni, se non fosse stato per una trasmissione televisiva. Negli anni ‘50 (a partire dal ‘58, si riporta, ma di lì innumerevoli volte) Walter Chiari e Carlo Campanini misero in scena un piccolo sketch comico, rappresentando una situazione semplice e assurda: in uno scompartimento di treno, un uomo ha come bagaglio una gabbia coperta con dentro un animale — un sarchiapone. Nessuno degli altri presenti nello scompartimento ha idea di che cosa sia, ma tutti fingono di saperlo. La comicità sta nell’interpretazione della situazione, nelle improvvisazioni, nelle smorfie, nel gioco di parole, e la gradevolezza della trovata ha fatto salire questo piccolo siparietto nell’empireo della storia della comicità italiana.

Tale il successo che questo nuovo sarchiapone non poteva non dar frutti: e così il sarchiapone diventa qualcosa che non esiste, ma che è creduto esistente da chi ne sente parlare per allusioni. Posso parlare di quel sarchiapone d’amico con cui il collega dice di andare in vacanza (invece va con l’altra collega); posso parlare del sarchiapone che la zia racconta di avere in soffitta, che quando lo venderà ci ripagherà tutti i debiti; posso parlare della laurea sarchiapona del superiore, che l’adombra spesso, anche se nessuno ha capito dove, quando, in che cosa l’abbia presa. In questo senso l’uso non pare particolarmente vivo, certo soffre di una specificità un po’ stretta, ma quando è registrato è registrato con questo significato.

Che cosa conduca dal primo regionale al secondo comico, non si capisce bene — c’è una soluzione di continuità, nei significati. Può essere una continuazione arbitraria, una rifondazione che segue solo il suono (ha la forma del nome di un animale, in effetti). O forse la suggestione del sarchiapone nella gabbia coperta raccoglie in maniera volontaria e poetica quella stratificazione di ipocrisia, sciocchezza e corpo che contraddistingue il sarchiapone regionale. Resteremo col dubbio.

Parola pubblicata il 10 Agosto 2024