Scetà
Dialetti e lingue d'Italia
sce-tà
Significato Varietà linguistica: napoletano — Svegliare
Etimologia dal latino excitàre.
- «Scetateve, guagliune 'e malavita, ca ‘ntussecosa assai è sta serenata»: svegliatevi, ragazzi di strada, ché questa serenata è fatta per avvelenare (frase in Napoletano)
Parola pubblicata il 16 Giugno 2025
Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli
L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.
Ascoltando i testi della grande canzone napoletana, insieme a molte parole che, per quanto pronunciate in modo diverso, si riconoscono come corrispondenti a parole italiane, c’è un piccolo numero di parole, ricorrenti, che invece sembrano non avere una parola italiana che gli corrisponda esattamente.
Un caso tipico è quello di scetà ‘svegliare’ e se scetà ‘svegliarsi’, usatissime. Famme sunnà ca ancora me vuo’ bene, famme ‘nzuonno murì, nun me scetà (‘fammi sognare che ancora mi ami, fammi morire nel sonno, non mi svegliare’) [‘Nun me scetà’, Tagliaferri-Murolo, 1930]. Oppure scetateve, guagliune ‘e malavita, ca ‘ntussecosa assai è sta serenata (‘svegliatevi, ragazzi di strada, ché questa serenata è fatta per avvelenare’) [‘Guapparia’, Bovio-Falvo, 1914]. O ancora si ‘na voce te sceta int’a nuttata, mentre t'astrigne 'o sposo tujo vicino (‘se una voce ti sveglia nella notte mentre t’abbraccia il tuo sposo vicino’) [‘Voce ‘e notte’, De Curtis-Nicolardi, 1904]. È una parola del latino parlato che ha avuto séguito in diversi dialetti, ma non ne ha avuto nell’italiano comune, dove si è persa per essere poi recuperata per via libresca, ma con un senso diverso.
In latino parlato dovevano esistere due forme per ‘destare dal sonno’ (questo lo sappiamo per via indiretta, proprio da quello che osserviamo nelle parlate che si sono evolute dal latino): excĭtare e deexcĭtare. La prima ha dato appunto scetà e il sardo ischidare, che si trova ad esempio nella splendida versione sarda di Amore Diverso di Eugenio Finardi cantata con Carla Denule: e as a ballare a tempus cun su coro meu, e su sole ti nd’at a ischidare ‘e ballerai a tempo col mio cuore, e il sole ti sveglierà’ [‘Amore Diverso’, Finardi-Denule, 1983]; la seconda ha dato, oltre all’italiano destare e al ladino descedé, il genovese adesciâ, come nella stupenda Çimma di Fabrizio de André: ti t'adesciæ 'nsce l'endego do matin ‘ti sveglierai nell’indaco del mattino’ [‘A Çimma’, De André-Fossati, 1990].
E l’italiano eccitare non deriva da excĭtare? Certo, ma si tratta di una forma cólta, di una parola ripresa dal latino scritto in tempi più recenti, che ha perso il suo senso concreto, quotidiano (la cui funzione è stata assunta da svegliare e destare) e ha assunto un valore tecnico di ambito medico, sessuale o nel campo dell’elettronica: si parla ad esempio di stato eccitato delle particelle subatomiche. Ma anche svegliare in italiano è parola dalla storia interessante: deriva dal latino ex-vĭgĭlare, e vĭgĭlare in latino significava essenzialmente ‘stare svegli’ e non necessariamente ‘controllare il comportamento degli altri’. La vĭgĭlĭa era appunto la ‘veglia’, cioè lo stato di non-addormentamento. Il fatto che prima delle grandi feste religiose si stesse svegli dal giorno precedente, aspettando il nuovo giorno, ha fatto sì che ormai nella percezione comune di chi parla italiano vigilia abbia assunto il significato di ‘giorno prima’, senza che necessariamente si debba passare la notte senza chiudere occhio. Ma, ad esempio prima degli esami universitari, ha da passà a nuttata, e spesso la vigilia di una importante prova diventa davvero una veglia proprio per lo stato di eccitazione in cui ci si trova.