Abbraccio

ab-bràc-cio

Significato Gesto d’affetto che consiste nello stringere qualcuno fra le braccia; il contenere, il cingere

Etimologia da abbracciare, composto parasintetico di braccio, con prefisso a-.

  • «Vieni qui, fatti dare un abbraccio.»

Parlando di abbracci, parliamo di parole nuove. In che senso?
Be’, ‘abbraccio’ è un termine che non compare in italiano prima del Seicento, e che ancora per due secoli, fino all’Ottocento inoltrato, sarà aspramente riprovato da alcuni, che lo vorrebbe purgato dalla lingua — senza grandi argomenti. Da altri coevi, anche a malincuore, sarà invece ammesso come alternativa a un più tradizionale abbracciamento, alternativa ormai sdoganata anche dalla Crusca (sembra di seguire una bagarre linguistica dei nostri giorni).
Notiamo che comunque per ‘abbracciamento’, termine desueto ma di grande bellezza, s’intende di solito più precisamente un abbraccio lungo e ripetuto.

La parola è semplice, scaturisce dall’abbracciare, che è un composto di ‘braccio’ vecchio quanto la lingua italiana stessa — e qui c’è da notare un fatto curioso. L’atto di avvolgere qualcuno o qualcosa con le braccia non sembrerebbe necessariamente un gesto d’affetto. Se stringo qualcuno, se mi ritrovo avviluppato, se qualcuno mi si allaccia o addirittura avvinghia, sempre di questo stiamo parlando. E però l’opzione di significato si fonda su una differenza sostanziale.

La stretta, il viluppo, il laccio e il vincolo hanno dei caratteri negativi di costrizione che si estendono molto oltre al gesto dell’abbraccio — non si esauriscono in questo gesto, o in uno analogo. L’abbraccio, invece, nel suo riferimento essenziale, fa una scelta di campo netta.

Non c’è modo di esprimere questo gesto con una poesia più asciutta di quella che muove ‘il braccio a’. E non ha campo se non quello affettivo — nel senso più lato, dalla stretta affettuosa e liliale fino all’amplesso. La concezione più semplice e immediata del gesto si focalizza sull’affetto, e questo è eloquente. Contiene e non costringe, viene dato e può essere ricevuto allo stesso tempo.
Questa natura incontrovertibile peraltro si nota nell’efficacia che hanno le espressioni che lo ribaltano — pensiamo all’abbraccio mortale, così comune e che ha un’aria così retorica.

Ed ecco, com’è abitudine della lingua, il gesto misurato dal nostro corpo, la stretta delle nostre braccia su un altro corpo o di altre braccia sul nostro, diventa un modo per descrivere altre e diverse figure del mondo. Così la città o il lago si stringono nell’abbraccio di un torno di colline, il panorama vasto e sfolgorante sfugge all’abbraccio del mio sguardo, ceniamo nell’abbraccio di un cortile riparato.

C’è fermezza, nell’abbraccio, e una presente concretezza figurativa — tutta protezione, contenimento, dedizione, rinfianco. Anche per questa relativa staticità si presta peggio a seguire il verbo ‘abbracciare’ quando in metafora è un includere, un seguire, un intraprendere — come quando la ricerca abbraccia discipline differenti, quando abbraccio una scelta etica, quando abbraccio una nuova avventurosa prospettiva. L’abbracciare ha il suo slancio, quello febbrile dell’ultimo tratto che giunge all’abbraccio — mentre nelle sue metafore l’abbraccio è raggiunto, già chiuso, già fermo, già caldo.

Sottigliezze che abbiamo nel corpo, oltre che nella lingua.

Parola pubblicata il 17 Settembre 2024