Sortilegio

sor-ti-lè-gio

Significato Incantesimo; pratica divinatoria che consiste nel raccogliere a caso tessere di legno segnate

Etimologia dal latino medievale sortilegium, derivato del classico sortìlegus ‘indovino’, composto di sors ‘sorte, tessera di legno per la divinazione’ e dal verbo lègere ‘raccogliere’.

Anche se il termine suona ricercato, si sa, generalmente, che il sortilegio è un incantesimo, una magia: le nostre narrazioni lo contemplano spesso e volentieri per la sua evocatività carismatica — ma oggi non ne vedremo solo i caratteri peculiari: intraprendiamo un viaggio etimologico che ci porterà a fare la conoscenza di un’antica figura dell’occulto, il sortìlego, e dell’origine della sorte stessa (non ontologica, eh, solo lessicale).

Nell’antichità nostrana si intrecciano le tradizioni divinatorie più diverse, per cui gli indovini erano in grado di trarre presagi dai fenomeni più disparati — anche se le famiglie più celebri sono quelle degli àuguri, che leggevano il volo degli uccelli, e gli aruspici, che leggevano le interiora degli animali sacrificati. Ebbene, a un livello di divinazione meno solenne — diciamo pure bassamente popolare — esistevano i sortìlegi.

Il principio della loro divinazione, delle sortes che traevano è semplice: da una congerie di tessere di legno segnate in vari modi, con simboli o addirittura con versi di poeti, o frasi da biscotto della fortuna, se ne pesca qualcuna in modo casuale — o si gettano nell’acqua, o si rovesciano insieme. Le tessere così sortite, con il linguaggio criptico tipico di tutte le -manzìe, squadernano il futuro della persona interessata. Il sortìlego, etimologicamente, raccoglie le sortes — le quali sono parenti ennesime di quello stesso verbo serere che significa ‘ordinare’ di cui parlavamo pochi giorni fa. Così le sortes, da tessere di legno, diventano la nostra sorte.

Dal sortìlegus, invece, indovino della povera gente, gemma nel latino medievale il termine sortilègium — ma i tempi sono cambiati. Le amenità pagane hanno cambiato status, e adattato in ‘sortilegio’ non si presenta più tanto come una pratica divinatoria. Il sortilegio resta, in maniera più vaga, più inquietante, più affascinante, l’incantesimo.

Non è (più) spiccio e popolaresco come sono la fattura e la malìa, non ha la fiabesca neutralità dell’incantesimo, non ha la scontornata ampiezza della magia, non è didascalico come la stregoneria. Il sortilegio ha una certa raffinatezza (anche nel suono), ha un tratto negromantico, d’irretimento — comunque poco rassicurante —, e ha quell’indefinitezza che è essenziale perché conservi un’aura arcana. Così, anche lasciando streghe e maghi al loro posto, possiamo parlare del sortilegio del musicista che ci rapisce per ore inavvertite, del sortilegio di una parmigiana di melanzane che fa innamorare, dei sortilegi di parole manipolatorie.

Parola pubblicata il 24 Novembre 2021