Stupido

stù-pi-do

Significato Che ha scarsa intelligenza, ottuso

Etimologia voce dotta recuperata dal latino stupidus ‘sbalordito’, da stupère ‘stupire’.

  • «Quando entrano nella Cappella degli Scrovegni e alzano la testa non riesci a distinguere quali hanno un'aria stupida e quali stupita.»

Le parole spesso ci contrabbandano valutazioni di cui non abbiamo una gran consapevolezza, ma a cui finiamo per aderire. A volte sono i frutti di una saggezza antica e lungamente ponderata, a volte no, ma in ogni caso sono eloquenti, e cristallizzano osservazioni sottili e strutturate.

Leggendo i primi significati che una parola comune quanto ‘stupido’ ha avuto, potremmo stupirci: lo stupido è dapprima preso da profonda meraviglia, rapito in estasi, e poi anche attonito per confusione, paura, dolore. Nel quarto del Purgatorio Dante ci dice «[...] io stava /
stupido tutto al carro de la luce», e non intende che se ne stava al sole da cretino, ma che era meravigliato dalla sua posizione in cielo. Insomma, all’inizio la differenza rispetto allo stupito (suo parente stretto) era molto minore.

Soltanto in lunghi secoli questo modo d’essere attonito si conquisterà prima gli spazi dello sconvolto, del non lucido, quindi quelli dello sfinito, dell’intontito — in un paradigma generale di pesantezza, d’inerzia, di ottundimento. Lo stupido è praticamente svenuto dallo stupore, e serve una selezione molto accurata per trasformarlo in uno scemo — significato a cui approderà definitivamente solo fra Otto e Novecento. Oggi non c’è praticamente modo d’intenderlo diversamente. Curioso che anche in latino fosse avvenuto, secoli prima, uno slittamento omologo.

Sarebbe una panoramica da nulla, se non squadernasse alcune idee precise ma non esatte che condividiamo sull’intelligenza.
Il colto e l’acuto non si stupiscono. Davanti all’eclissi non battono ciglio, anzi l’avevano prevista — mentre interi popoli sgomentano. Non si stupiscono perché sanno e si aspettano le cose. Invece la stupidità fa attraversare la vita in un susseguirsi di sconcerti che lasciano a bocca aperta, dipingendo sul viso una perpetua aria ebete.

Ora, nella pratica sapere certe cose elimina davvero alcuni smarrimenti, questo è certo — il quadro che viene fuori dall’evoluzione dello stupido è piuttosto supponente. L’intreccio fra stupidità e stupore ha una trama complessa. Quasi a chiunque è capitato di incontrare una persona espertissima di una certa materia, lucida e penetrante, e non per questo disincantata, anzi traboccante di un entusiasmo meravigliato. (E certo che l’entusiasmo meravigliato a volte dà un profilo da rimbambito.) D’altro canto di gente imbecille che è del tutto refrattaria allo stupore del mondo, e che non riuscirebbe nemmeno a partecipare alla meraviglia per un cinghiale che vola nel cielo della piazza con ali di cigno, ce n’è.

Lo stupido è un’approssimazione operativa che s’incentra su un’espressione del viso, su una reazione di sbalordimento, senza poi troppa acrimonia. Lo sentiamo benissimo se lo paragoniamo coi suoi sinonimi: quanto è più schiaffeggiante dar di scemo, quanta alterigia nel dar dello stolto, quanta pancia nel dire a qualcuno che è imbecille, o cretino, o fesso, o… fermiamoci qui.

C’è un genere d’intelligenza che si presenta scafata e pronta, sobria, forse poco contemplativa, che non si ferma nello stupore — bocca chiusa e sguardo perspicace.
C’è una sorpresa torpida che giace in un’inerzia stagnante, vacua, imbambolata, ed è quella dello stupido.

Parola pubblicata il 02 Ottobre 2025