Tempo
Radici indoeuropee
tèm-po
Significato ‘Successione di istanti in cui avvengono gli eventi; momento del passato, presente o futuro; condizione meteorologica’
Etimologia dal latino tempus, genitivo temporis, ‘tempo’.
- «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria» (Dante, Inferno V, 121-123)
Parola pubblicata il 27 Dicembre 2025 • di Erica Fratellini e Matteo Macciò
Radici indoeuropee - con Erica Fratellini e Matteo Macciò
Con Erica Fratellini e Matteo Macciò, glottologi e indoeuropeisti, un sabato su due andremo alla scoperta delle radici indoeuropee delle nostre parole — là dove sono nati i miti, le prime tecnologie, i nomi degli animali e delle parti del nostro corpo. Un 'là' che è 'qua', così come la chioma e il ceppo sono nello stesso posto.
In questo articolo strumentale puoi trovare alcune note di carattere generale riguardo a questo ciclo di parole. L’articolo verrà aggiornato nel tempo.
Tempo deriva dal latino tempus, genitivo temporis. Di norma, le parole italiane derivano dall’accusativo della parola latina corrispondente, come si può vedere nella nostra vecchia conoscenza sapiens, sapientis, il cui accusativo è sapientem, da cui l’italiano sapiente (con caduta di -m probabilmente già nel latino parlato). Tempo non fa eccezione, perché il suo antenato latino tempus è un sostantivo neutro e nei neutri il nominativo e l’accusativo sono uguali.
Nominativo e accusativo? Chi eran costoro? Ebbene, il latino è una lingua a flessione di caso, cioè una lingua in cui i sostantivi, gli aggettivi e i pronomi cambiano la desinenza non solo tra singolare e plurale (latino amīc-a, amīc-ae come italiano amic-a, amich-e) e tra maschile e femminile (latino amīc-us, amīc-a come italiano amic-o, amic-a), ma anche a seconda della loro funzione logica della frase: quindi, se il nostro amico è il soggetto, in latino useremo il caso nominativo amīc-us, se è il complemento oggetto, avremo il caso accusativo amīc-um, se è il complemento di specificazione, selezioneremo il caso genitivo amīc-ī, e così via. La flessione di caso è scomparsa in italiano (così come in francese, spagnolo e portoghese), ma si trova ancora, più o meno articolata, in varie lingue indoeuropee moderne (tedesco, russo, lituano...) e in tutte quelle antiche (greco, sanscrito, ittito...) , perciò si ricostruisce con notevole precisione anche per il protoindoeuropeo.
Tempo dall’accusativo tempus, dicevamo. Qualcuno però noterà in italiano vistose tracce di un tema tempor-, per esempio nei derivati temporale, temporaneo e temporeggiare (il suffisso -eggiare si aggiunge usualmente a un nome, per esempio ondeggiare da onda, palleggiare da palla). Queste parole derivano dalla forma che il latino tempus assumeva nei casi diversi dal nominativo-accusativo singolare, per esempio al genitivo singolare temporis o al nominativo-accusativo plurale tempora.
Tempus deriva dalla radice protoindoeuropea *temp- ‘allungare, distendere’, da cui anche il verbo lituano tem̃pti ‘allungare, stendere, distendere’. Dato che ora conosciamo la struttura delle radici protoindoeuropee (l’abbiamo vista in sapiente), notiamo in *temp- la struttura CVC (consonante – vocale – consonante) in una delle sue possibili espansioni, cioè CVCC, dove CC è un nesso formato da una consonante nasale e una consonante occlusiva (un’altra radice dalla stessa struttura è per esempio *bhendh- ‘legare’ di inglese bind, tedesco binden o italiano benda, che in effetti è un antico prestito dal germanico).
Ma come si arriva al significato di ‘tempo’ da una radice che vuol dire ‘allungare’? In uno stadio molto antico della lingua, deve essere avvenuto uno slittamento semantico da ‘allungare, stendere’ a ‘misurare’ (forse in contesti in cui si stendeva un oggetto a scopo di misura), ed è da questo significato che deriva ‘tempo’, nel senso di ‘misura’.
A questa radice, a quanto pare, piaceva slittare. In latino, infatti, tempus, temporis vuol dire anche ‘tempia’. Con tutta probabilità non si tratta di due termini omofoni, ma proprio della stessa parola che significa sia ‘tempo’ sia ‘tempia’. Forse che la stempiatura sia un simbolo visibile del tempo che passa? Alcuni studiosi hanno trovato una possibile spiegazione etimologica per giustificare questa strana compresenza di significati (o, come dicono i linguisti, polisemia): in latino tempus ‘tempia’ potrebbe significare letteralmente ‘(pelle) tesa’, poiché la pelle in corrispondenza della tempia è molto tesa, e potrebbe così essere un altro riflesso della radice *temp- ‘allungare, distendere’.