Titanismo

ti-ta-nì-smo

Significato Atteggiamento di sfida verso i limiti umani, le leggi di natura, l’ineluttabile

Etimologia dal nome dei Titani, schiatta divina della mitologia greca.

E così le divinità dell’Olimpo riuscirono a sconfiggere e sigillare nelle profondità del Tartaro i Titani. Lieto fine stabilissimo: da allora vissero per sempre felici e contente, più meno — e noi restiamo con un titanismo che ha qualcosa che non torna.
Quei Titani appartenevano alla generazione precedente di divinità — la schiatta di Zeus nasceva da Crono e da Rea, una delle sei coppie di Titani (maschi) e Titanidi (femmine), figlie di Urano il cielo e Gea la terra. Si parla e si ricorda spesso l’attacco lanciato dai Titani all’Olimpo, ma era stata in effetti la rivolta di Zeus contro l’opprimente autorità di suo padre ad aver innescato questa guerra. Non era il Titano ad aver lanciato la sfida a Zeus — anzi dal Monte Otri tentava di rifondare lo status quo.

Il titanismo è un atteggiamento di lotta totale contro le forze che limitano l’essere umano, il suo slancio verso l’assoluto, le sue possibilità. Per una certa sensibilità è in effetti una sfida agli dèi, o a Dio, una vocazione a un trasumanare autonomo e libero — e votata a quasi sempre inevitabile fallimento, perché le leggi superne sono invalicabili.

Capiamo bene che questo atteggiamento non è quello di Crono, Iperione, Oceano, Giapeto, o dei loro figli che con loro parteciparono alla guerra contro Zeus, come Atlante: la loro era una guerra di reazione contro la rivoluzione. Quindi quando nei dizionari (quasi tutti) si trova scritto che il titanismo si riferisce alla Titanomachia, alla lotta dei Titani contro l’Olimpo, qualcosa non viene colto. Perché il titanismo ci parla della sfida di un Titano — di cui peraltro abbiamo già avuto modo di parlare, perché è il più famoso.

Prometeo è fratello di Atlante, ma si schiera fra gli olimpici, e perciò non segue la sorte degli altri Titani (le Titanidi invece non parteciparono proprio alla guerra). È contro il divieto posto da Zeus che gli esseri umani abbiano il fuoco, che Prometeo si ribella. Non crede di poterla fare franca, crede solo che la limitazione imposta dal dio sia ingiusta, e così la sfida, e ne paga le terrificanti conseguenze.

Nella corrente artistica del Romanticismo la figura di Prometeo, il Titano, dà frutti abbondanti — perché è allora che matura quella sensibilità per cui il finito è sofferenza. È il filone dei Frankenstein, dei Faust, e in generale di quei personaggi che cercano di spingersi oltre quelle che paiono le leggi fissate inderogabilmente dalla natura, dal potere, dalla società, personaggi che sfidano l’ineluttabile per tentare una liberazione. Non senza una certa forza personale, un certo eroismo. Ma questo titanismo, che si sostanzia in una miriade di profili letterari celebri e alti, si fa riconoscere anche nelle nostre giornate.

Possiamo parlare del titanismo con cui il nonno si ostina a non prendere le medicine perché secondo lui non gli servono, del titanismo con cui ci siamo messi in testa di leggere un’intera biblioteca, del rifiuto titanista della vicina di pagare le spese condominiali perché lei spazza sempre il pianerottolo.

Il titanismo è l’inclinazione alla sfida del grande opprimente limite imposto: a un tempo è facile che susciti stupore — o perfino ammirazione per la forza d’animo che richiede — ed è facile finisca per essere considerata delirante.

Infine ha un paio di pregi d’uso da rimarcare: è una parola che pur avendo un grande retroterra storico riesce a conservare un’immediatezza di significato e una spendibilità notevole, proprio in virtù del suo riferimento, che non richiede la didascalia di Prometeo, ma richiama il più generico Titano — entità che anche solo a naso si fa intuire grande, potente, autocratica. Ed è una di quelle parole che si fa notare, nella frase, con un certo mesmerismo.

Parola pubblicata il 10 Aprile 2022