Trangugiare
tran-gu-già-re (io tran-gù-gio)
Significato Inghiottire in fretta, avidamente; inghiottire con difficoltà, a forza; reprimere, soffocare
Etimologia probabilmente derivato dal lucchese gogio, adattamento del settentrionale gos ‘gozzo’, che a sua volta viene dal gallico geusiae ‘fauci’, con prefisso tra- ‘attraverso’.
Parola pubblicata il 27 Maggio 2019
L’evoluzione di alcune parole è tutt’altro che netta, e spesso capita che una costruzione dionisiaca, disinvolta, con mutazioni e intrusioni germinate lungo percorsi geografici inattesi, generi un carisma stupefacente.
L’unica porzione trasparente del trangugiare è il prefisso, un ‘tra-’ che inizia a parlarci di un ‘attraverso’ che entra in bocca: ma se la testa della parola si riconosce ancora, il resto è già masticato e scomparso nella gola. Quella ‘n’ non è facile intendere da dove salti fuori (secondo alcuni è presa per analogia da altri termini), ma è una nasale che arricchisce la sensazione di una bocca ingombra; che poi la porzione du quel ‘gugi’ sia un’alterazione di un’alterazione di un’alterazione che dalla lingua dei galli arriva al lucchese e all’italiano, o che abbia una parentela diretta con la ‘gola’ di ‘ingoiare’ e ‘ingollare’, le due ‘g’ di seguito, dura e dolce, evocano l’ingolfamento di una deglutizione sussultante e impegnativa.
Già perché il trangugiare — verbo lungo ma rapido — è sia un inghiottire in fretta, per foga o avidità masticando il tanto che basta al passaggio o tracannando senza cercare un sapore, sia un inghiottire con seria difficoltà, perfino a forza, aprendo al significato figurato del buttar giù, del reprimere. Non solo posso trangugiare il bicchiere di vino e quando mi chiedono «Allora, com’è?» non so che dire, non solo posso trangugiare la pasta senza nemmeno sedermi a tavola; sorridendo affabile posso trangugiare una minestra ributtante per pura e sovrana cortesia, posso tentare di far trangugiare la polpettina medicata al gatto recalcitrante; e posso trangugiare il boccone amaro di una delusione, trangugiare la rabbia che non è il momento di esprimere, trangugiare un’onta che so già quando lavare.
Insomma, è un verbo a buon mercato, ritorto, ingombrante, bruto, gorgogliante e con tanti altri pregi.