Cavallo
ca-vàl-lo
Significato Mammifero appartenente al genere equus, della famiglia degli equidi
Etimologia dal latino caballus, cavallo da lavoro, probabile prestito da una lingua sconosciuta.
Parola pubblicata il 07 Novembre 2022
Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti
Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.
“Il mio regno per un cavallo!” grida il Riccardo III di Shakespeare nell’infuriare della battaglia. Una battuta che la dice lunga sull’importanza bellica dei cavalli; non per nulla “essere a cavallo” significa raggiungere una posizione di vantaggio, mentre il “cavallo di battaglia” è, all’interno di un repertorio, quella parte che meglio mette in luce le abilità dell’esecutore.
Per questo non stupisce troppo che il bottino di guerra lasciato dagli Achei fosse un cavallo di legno, anche se secondo l’archeologo Tiboni si trattava di una nave, tramutata in cavallo per un errore di traduzione. Ciò non ha impedito comunque che, in tempi più recenti, “cavallo di Troia” diventasse il nome di un malware, l’arma tipica delle battaglie informatiche.
Un cavallo tuttavia costa caro, come sottintende il proverbio: “A caval donato non si guarda in bocca”, ossia di fronte a un dono importante non bisogna impuntarsi sui dettagli (giacché l’età di un cavallo si può arguire dallo stato dei denti). Solo gli aristocratici, pertanto, potevano permettersi di guerreggiare in sella, tanto che “cavaliere” è diventato quasi sinonimo di “nobile”.
Tuttavia accanto al cavallo da battaglia, che i Romani chiamavano equus, esiste anche il più modesto caballus: il cavallo da lavoro. Dunque il termine italiano deriva non dal cavallo dei nobili, bensì da quello dei contadini. E dallo stesso contesto nasce anche un altro detto molto diffuso: “Campa cavallo!”. Un’espressione di speranza irrealistica, come se si esortasse un cavallo a sopravvivere senza mangiare intanto che l’erba cresce nei campi.
Anche diversi termini comuni testimoniano una quotidiana frequentazione tra popolani e cavalli. “Gamba”, per esempio, in latino era nient’altro che la zampa del cavallo, mentre “cantiere” nasce da cantherium, il cavallo castrato, per analogia tra il cavallo e le strutture di sostegno (la stessa che troviamo in “cavalletto”).
Non parliamo poi del fatto che la potenza di un motore si definisce tutt’oggi in base al numero di cavalli da tiro cui approssimativamente corrisponde. Perfino il termine “posta” conserva il ricordo dei pazienti cavalli che trasportavano messaggeri e diligenze. Le stazioni di posta (dal latino ponere, porre) erano infatti i luoghi deputati alle soste che occorrevano per cambiare i cavalli stanchi con quelli freschi.
Questi cavalli erano detti “cavalli di ritorno” perché prima o dopo finivano per tornare alla stessa stazione, e tale espressione ha avuto un grande successo in diversi campi. Definisce infatti sia un pettegolezzo che ritorna a chi l’ha generato, sia il furto di qualcosa che viene restituito dietro pagamento di un riscatto.
Infine, nella terminologia dei linguisti, designa una parola che passa da una lingua a un’altra e poi rientra nella lingua di partenza con un significato diverso. Tale è il caso di manager, che abbiamo importato dall’inglese ma che nasce, in realtà, dall’italiano “maneggiare”, ossia gestire i cavalli (da cui anche “maneggio”).
Curiosamente anche altri forestierismi contemporanei hanno a che vedere coi cavalli. Bidet in francese significa “cavallino”, per via della posa che si assume nell’usarlo. Hobby indicava in origine un cavallo irlandese di piccole dimensioni e poi il cavalluccio giocattolo. Cocktail infine (letteralmente “coda di gallo”) era un soprannome dei cavalli bastardi, che essendo di poco pregio subivano spesso il taglio parziale della coda. In seguito il termine è passato a indicare bevande “bastarde”, formate da un miscuglio di ingredienti.
Che dire: non solo i cavalli non sono passati di moda, ma oggi sono più trendy che mai.