Onomaturgo
o-no-ma-tùr-go
Significato Chi conia nuove parole
Etimologia voce dotta recuperata dal greco onomaturgós, composto di ónoma ‘nome’ e del tema di érgon ‘opera’.
Parola pubblicata il 05 Dicembre 2025

o-no-ma-tùr-go
Significato Chi conia nuove parole
Etimologia voce dotta recuperata dal greco onomaturgós, composto di ónoma ‘nome’ e del tema di érgon ‘opera’.
Parola pubblicata il 05 Dicembre 2025
È una parola potentissima: compare in italiano solo negli anni ‘80, ma ha i suoi annetti. È il ruolo (tentenno: vorrei dire il ‘titolo’) di chi inventa nuove parole. Ruolo di carisma unico, anche perché sappiamo abbastanza bene come è che questa e quella parola sono nate, e di solito nascono come consuetudine adespota, non firmata. Non di rado abbiamo primi usi che si legano a una penna specifica, ma l’onomaturgo ha il profilo netto di un creatore.
Notiamo bene: proprio per questo la stragrande maggioranza delle trovate di onomaturghi e onomaturghe resta nella loro opera e non trabocca mai nell’uso. Perché le parole sono consuetudini, e non è così che una consuetudine di solito nasce: c’è la spontaneità di un’intuizione condivisa che si annoda ai fili del mondo — non è un coniglio tirato fuori dal cappello, derivazione, composizione, adattamento tanto accattivante che diventa d’improvviso di uso comune. Pensiamo ad alcune parole nate in poesia che abbiamo visto insieme, all’acquilunio, allo sbinariato, all’isolitudine, all’asparizione. Mica roba che si usa.
Però in italiano abbiamo avuto alcuni onomaturghi notevoli che notevolmente hanno fatto entrare le loro parole nuove nel vocabolario e nell’uso — onomaturghi, fatto curioso, ben differenti e distanziati gli uni dagli altri — da Dante (dal contrappasso alla bolgia all’inurbarsi), a D’Annunzio (dal velivolo al tramezzino all’automobile).
Questa storia dell’onomaturgia e degli onomaturghi è stata messa nero su bianco da un linguista del passato prossimo molto famoso, Bruno Migliorini, che per parlare di parole d’autore lo riesuma da un passato davvero remoto. Ma nobilissimo.
In effetti chi sia l’onomaturgo ce lo spiega in prima istanza — e non è una cosa che possano vantare tutte le parole — Socrate in persona (vabbè, Platone camuffato da Socrate).
In uno dei dialoghi più famosi, il Cratilo, c’è una parte estremamente interessante che verte sul linguaggio e che apre filoni capaci di affaticare la filosofia fino a Wittgenstein e oltre. Uno dei paragoni che Socrate conduce è quello fra parole e strumenti di lavoro. Così come chi tesse usa la spola, così chi parla usa le parole. E così come gli strumenti sono fatti — per dire — dal falegname, così le parole sono fatte dall’onomaturgo. Chi è che giudica se le parole fatte dall’onomaturgo sono buone o meno buone? La stessa gente che giudica se gli strumenti fatti dal falegname sono buoni o meno buoni: chi li userà.
Certo che però l’onomaturgia non è solo questione che investa soloni seduti sugli alti scranni della letteratura e della filosofia: forse che i nostri occasionalismi, le parole espresse, che ci vengono e che abbiamo plasmato lì per lì, non sono frutto di onomaturgia?