Panda

pàn-da

Significato Nome comune di due specie, Ailuropoda melanoleuca (panda gigante) e Ailurus fulgens (panda minore o panda rosso)

Etimologia probabile prestito dal nepalese (nigalya) ponya, letteralmente ‘mangiatore di bambù’.

Simbolo del WWF fin dalla sua fondazione, nel 1961, il panda gigante è l’ufficiale rappresentante di tutte le specie minacciate dalla sconsideratezza umana (la buona notizia è che oggi i panda sono aumentati, passando dalla categoria di animali “in pericolo” a quella dei “vulnerabili”).

La scelta fu ispirata da una pandina, Chi Chi, arrivata proprio nel 1961 allo zoo di Londra dalla Cina, unico luogo in cui i panda si trovano allo stato selvatico. Peraltro i cinesi sono giustamente orgogliosi di questa peculiarità, motivo per cui fin dagli anni ’40 si è sviluppata una fiorente “diplomazia dei panda”: quando il governo cinese desiderava rafforzare le relazioni politico-economiche con un dato paese, spesso gli inviava in dono un panda (oggi invece la Cina preferisce “noleggiare” i suoi panda, a prezzi molto salati).

Così questo peluche vivente è diventato parte ineliminabile dell’immaginario occidentale, per cui ad esempio quando qualcuno spampana malamente il trucco parliamo di “effetto panda”, alludendo alle tipiche macchie scure intorno agli occhi. In Gran Bretagna poi la macchina bianca e nera della polizia è diventata nota come “panda car”, ed è facile supporre che la Fiat Panda prenda ispirazione da qui.

In realtà, però, la macchina nostrana nasconde un riferimento più aulico, benché probabilmente nessuno oltre ai suoi creatori l’abbia mai colto: la dea romana Panda, protettrice dei viandanti, connessa al verbo pandere (“aprire”), dal cui participio passato viene anche “passo” (dato che camminare equivale ad aprire le gambe).

Questa, tuttavia, non è la rivelazione più sconcertante che i panda tengono in serbo. Il vero panda, infatti, non è quel panda. All’inizio il nome – che pare di origine nepalese – indicava il panda rosso, molto meno celebre anche se ha avuto i suoi momenti di gloria. Il browser Firefox, ad esempio, è ispirato al suo nome cinese (letteralmente “volpe di fuoco”) benché il logo raffiguri in realtà una volpe, non un panda.

E sì che all’apparenza i due panda non c’entrano proprio niente. Infatti studi recenti suggeriscono che l’uno sia imparentato con gli orsi, l’altro con i procioni. Hanno però una somiglianza fondamentale, che giustifica lo slittamento onomastico e non fa ancora escludere l’ipotesi di una parentela diretta: si nutrono quasi soltanto di bambù, per quanto il panda minore non disdegni insetti e radici. Per questo, quando esorto mio fratello ad ampliare le sue abitudini culinarie, gli consiglio amichevolmente di non “fare il panda”.

La cosa assurda, tuttavia, è che nessuno dei due è equipaggiato per digerire il bambù: discendono da antenati carnivori e tuttora il loro sistema digerente è più adatto a processare la carne che i vegetali. Oltretutto il bambù ha un apporto energetico molto basso e sarebbe ostico da digerire anche per erbivori incalliti.

Per questo un panda gigante passa 12-14 ore al giorno a mangiare, consumando fino a una quarantina di kg di bambù, la maggior parte del quale è poi espulso (si stima che riesca ad assimilarne solo il 17%). Inoltre consumano poche energie: dormono tantissimo e anche la riproduzione avviene con parsimonia, specie in cattività (tanto che alcuni zoo hanno cercato di favorirla tramite appositi video di “panda porn”).

Ma perché questo suicidio evolutivo? In realtà il bambù, proprio perché disdegnato da tutti, costituisce una riserva di cibo senza concorrenti, accessibile con poca fatica. Perciò specializzarsi in questo campo aveva un senso, per quanto alla lunga possa risultare controproducente.

Parola pubblicata il 20 Novembre 2023

Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti

Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.