Sussiego
sus-siè-go
Significato Contegno grave, sostenuto, altezzoso
Etimologia dallo spagnolo sosiego ‘contegno’, ma propriamente ‘calma, quiete’ derivato di sosegar ‘calmare, acquietare’, che attraverso l’antico spagnolo sessegar, e l’ipotetica voce del latino parlato sessicare ‘far sedere, far riposare’, deriva da sedere ‘stare seduto’.
Parola pubblicata il 03 Gennaio 2024
Il sussiego si mette all’anima di significare qualcosa di molto complesso e sottile, da definire. Però la sua è un’impresa meritoria, perché è anche qualcosa di importante — un atteggiamento che appare come un groppo di autorità, di antipatia, perfino di pericolo. Ha molti esimi colleghi sinonimi, ma riescono a significare il concetto solo a patto di qualche sbavatura e di fatica semantica. Invece lui, il sussiego, lucra una scelta di significato fulminante del suo precedente spagnolo.
Già: il sussiego è un prestito adattato dello spagnolo sosiego, che ha il significato di ‘calma, quiete’, e per estensione ‘contegno’. Arriva su questi placidi lidi da un sosegar che attraverso forme precedenti continua l’ipotetica voce del latino parlato sessicare, ‘far riposare’ — derivato frequentativo di sedere, che in latino ha il sorprendente significato di ‘stare seduto’. Il nesso fra sedere e calma è magnifico, il tratto del contegno è molto promettente ma il sussiego lo porta ancora avanti, e lo fa per delle ragioni storiche abbastanza nitide.
Siamo nel Rinascimento, periodo di fioritura delle arti e della cultura… in un’Italia fatta a pezzi da epidemie e guerre delle più rapaci, fra praticamente tutte le potenze interne e straniere all’orizzonte. Fu un periodo in cui la gente d’Italia ebbe modo di conoscere bene e diffusamente, fra l’altro, il potere spagnolo: alla fine delle Guerre d’Italia (così sono note complessivamente quelle che in Italia infuriarono nei primi sessant’anni del Cinquecento) la Spagna dominava tutto il meridione e le isole, oltre a Milano.
L’espressione del potere asburgico spagnolo, in Italia e non solo, non spicca per essere alla mano. È un potere di grande formalità, grave, distante, ingessato, seduto, e di apparenza quietissima. La matrice del sussiego è in effetti proprio polemica o satirica verso questo volto del potere, antispagnola: ma la dominazione passa, l’impressione resta — la parola resta, e si normalizza.
Ora, prima di discernere meglio tutti i capelli del sussiego, questo è il punto formidabile da apprezzare: la degnazione, l’affettazione, come anche la gravità, l’alterigia, e via dicendo, sono concetti che non compaiono in italiano con figure concrete. Il loro grado di astrazione, per quanto intridano il mondo, è irrimediabile. Invece il sussiego scaturisce come una scintilla d’intuizione da una spiacevole frequentazione: nobili, immobili terga racchiuse in velluti rigidi su troni cupi. Nei primi tempi del suo uso il nesso con la caricatura del tratto del potere spagnolo era sempre ben presente a chi scriveva.
Il suo contegno è di gravità dignitosa; è un atteggiamento di compostezza che ha una serietà senza appello: la sua dimensione è una cerimonia su cui non tramonta mai il sole, un broccato di austerità su un corpo di sprezzo, di alterigia, con una mente che presume di sé il massimo — un massimo che non è generico e magmatico, ma incastonato razionalmente nel celeste ordine del mondo.
Così ci sentiamo spiegare con parole lente e sussiegose che il modulo che abbiamo compilato è scorretto, e la procedura deve essere ricominciata dal principio; quando nel conversare si tocca l’argomento che è la sua passione, l’amico estrae una pomposità e un sussiego che non mostra in nessun altro caso; e il sussiego espresso dalla foto di un profilo o da una voce al telefono ci mettono subito in allerta.
Una parola incisiva, sintetica, eloquente e che dà subito un tono di finezza ai discorsi che abita.