Aggricciarsi
ag-gric-ciàr-si
Significato Rattrappirsi, specie per lo spavento
Etimologia da griccio ‘arricciato, increspato’, derivato di riccio con sovrapposizione forse di grinza.
- «Mentre proferiva quelle parole ho sentito che mi si aggricciava la pelle.»
Parola pubblicata il 24 Dicembre 2024
È un fenomeno che qui osserviamo in modo ricorrente: ci sono parole di origine popolare, anzi di formazione proprio pasticciata, che si sono slanciate all’inseguimento pratico della migliore espressività, che vengono bellamente raccolte dalla lingua letteraria. Sono parole tutt’altro che apollinee, che però hanno saputo seguire sentieri autentici.
‘Aggricciarsi’ ha il significato di rattrappirsi, raggrinzirsi dalla paura, ed è forma intransitiva pronominale di ‘aggricciare’. La base di questa è un enigmatico aggettivo ‘griccio’, che è la chiave del suo successo.
Quando anticipavo una formazione pasticciata, alludevo a questo: la base del griccio è il riccio, arricchito però dalla sovrapposizione di un’altra voce che inizia per gr-, come può essere ‘grinza’. Non è una formazione standard, limpidamente derivata tramite affissioni su radici: è una parola impressionista. Il risultato è un griccio che è un arricciato, un increspato.
Che questo ci porti nella regione lessicale che parla delle reazioni alla paura è piuttosto conseguente: è una zona semantica di enorme interesse, la paura è un sentimento di importanza primaria, ci servono sfumature sottilissime per individuarne di volta in volta lo speciale genere (è panico? inquietudine? fobia? terrore? orrore? ne abbiamo a decine). La questione della reazione della pelle nella paura è basilare: lo stesso ‘orrore’ deriva da un horrère latino che è un ‘essere irto’ — il senso di spavento più schietto è significato dai peli ritti.
Sempre su questa pilorezione insiste l’accapponare: oggi noi parliamo più facilmente di pelle d’oca, con similitudine puntinata fra la pelle umana con i peli ritti e quella che resta sulla carcassa spiumata di un’oca — ma un tempo si parlava altrettanto facilmente del farsi ‘venir la pelle di cappone’. Il commercio domestico coi capponi si è ridotto rispetto al passato, e questo ha contribuito a togliere ampiezza all’accapponare: la pelle d’oca ci viene anche prima del bacio anelato e a sentire una musica emozionante, ma la pelle oggi ci si accappona solo quando abbiamo paura. Lo stesso ‘raccapriccio’ ci suggerisce un capo dai capelli arricciati, rizzati, col cuoio capelluto raggrinzito da una paura profonda e tagliente.
Notiamo che sono parole analoghe, tutte popolari, tutte avvitate su questa particolare reazione — più intima rispetto ai tremori e ai pallori della paura. Ma non sono tante e soprattutto, nonostante l’affinità, sono tutte ben distinte. Una parola in più è un vero e proprio atto d’esplorazione di sé.
L’aggricciarsi, per quanto evocativo nel suo suono costruito apposta, non ci fornisce una figura chiara e definita: questo da un lato può renderlo meno immediatamente rappresentativo, dall’altro significa versatilità. Difatti, anche se parte dalla pelle, trascende la pelle, e non di rado la stessa paura (specie per sconfinare nel freddo, come il rabbrividire).
È un aggrinzirsi, un rattrappirsi contratto. Quando scordo i guanti mi si aggricciano le mani sul manubrio della bicicletta, sento la pelle che mi si aggriccia quando realizzo di essermi scordato a casa una cosa importante, in macchina con l’autista che guida da pazzi ci si aggriccia il sangue, e quando assistiamo a un atto violento ci si aggricciano i muscoli dalla paura.
Quella dell’aggricciarsi non è una paura che investe, come il terrore; la mediazione della sua immagine, e la lettura della sua azione fisica, lascia uno spazio di lucidità, di presenza. È una reazione che emerge, e non è solo epidermica, ma coinvolge tessuti profondi, lambendo le sensazioni del movimento — che com’è reso dal suono si fa più legato.
Per dire la gioia ci bastano i panni lisi e stinti di una manciata di parole; per dire la paura, la nostra lingua ci offre un guardaroba sterminato — che va usato. Perché la parola giusta è comprensione e dominio anche nel nostro reame interiore.