Armeggiare
ar-meg-già-re (io ar-még-gio)
Significato Maneggiare le armi, combattere; fare tornei, giostre, spettacoli d’armi; affaccendarsi, darsi daffare, specie con risultati scarsi; tramare, intrigare
Etimologia derivato di arma col suffisso verbale -eggiare.
- «Sta ancora armeggiando con la serratura, sembra bloccata.»
Parola pubblicata il 15 Settembre 2022
Questa parola ci presenta un esito particolarmente simpatico e scanzonato di un’immagine che dovrebbe essere violenta, bellicosa: che nell’armeggiare ci sia un uso di armi è evidente. La magia qui è compiuta da uno dei suffissi più potenti della nostra lingua, il nostro caro -eggiare.
In passato si poteva parlare di due che armeggiavano intendendo che erano venuti alle armi, o di come qualcuno fosse bravo ad armeggiare nel senso di combattere — diciture che oggi ci fanno pensare piuttosto a gente che si affaccenda in qualcosa con grande intenzione e risultati discutibili. Ma il suffisso fa sì che nell’armeggiare l’uso dell’arma non paia troppo fattivo, troppo concludente. La persona brava ad armeggiare nel senso di brandire un’arma non ci appare come una macchina assassina, c’è un qual virtuosismo, un tratto scenico, e anche i due che armeggiano non danno l’idea di starsi ammazzando, quanto di provocarsi, di fronteggiarsi. L’armeggiare, con questo suffisso, esprime soprattutto un modo di comportarsi, il ripetersi di un’azione.
Non è un caso che l’armeggiare abbia significato, in particolare, l’esercitarsi e il gareggiare con le armi, in tornei, giostre, feste pubbliche. Non un combattimento ostile, micidiale, vero, ma un combattimento sportivo, spettacolare, pieno di mosse plateali, dove l’abilità conta ma non nella misura in cui è letale. Quella delineata dall’armeggiare è la rissa cavalleresca, in cui gentiluomini variamente si buttavano per terra, rintronavano e ferivano per diletto. Per fare un esempio prendiamo qualche parola di bocca a Bocaccio (dal Filocolo): «Tanto quanto la festa delle vostre nozze durerà, io con molti compagni, vestiti ciascuno giorno di novelli vestimenti di seta, sopra i correnti cavalli, con aste in mano e con bandiere bagordando ed armeggiando a mio potere esalterò la vostra festa.» (Bagordare significava ‘giostrare’, e il fatto che per noi i bagordi siano le gozzoviglie ci fa capire il clima dei tornei.)
Insomma, armeggiando ci si dà un gran daffare, ma non sembra si concluda gran che. Di qui il nostro più comune armeggiare, che ha proprio l’aspetto di un affaccendarsi confusamente, specie con risultati scarsi. Così lo zio subentra sollecito quando ci vede armeggiare con la bottiglia da stappare, la matricola armeggia inutilmente con le cime da annodare, e io armeggio col tagliaerba nel tentativo di aggiustarlo.
Naturalmente questo verbo può anche comunicare una mera impressione, e così l’astronauta che armeggia fuori dalla stazione spaziale, il mago che armeggia con pozioni e distillati, la nipote che armeggia coi collegamenti telefonici possono agire con perizia ed efficacia al di là della nostra comprensione, che si ferma a un insondabile e dubbio trafficare. Con questo tratto in ombra può diventare anche un tramare, un intrigare, come quando il candidato armeggia per ottenere un finanziamento della sua campagna, o quando la presidente armeggia in segreto per sistemare la gente giusta in ruoli-chiave.
A questo aggiungiamo solo che l’armeggiare può anche piegarsi verso un frugare, un rovistare: un impegno rumoroso e dall’esito incerto, come quando troviamo la mamma che armeggia calata per metà dentro alla cassapanca.
La sua versatilità è formidabile, proteiforme e icastica insieme, ed è magnifico come si dipani senza soluzione di continuità a partire da un comportamento smargiasso da torneante, imperniato su una verve combattiva che unisce l’intento impegnato e la vuotezza o l’impenetrabilità del risultato.
La continuazione nelle parole di certi caratteri, di certi fili della trama umana, ha una poesia impareggiabile.