Blittri

Leopardi spiega parole

blìt-tri

Significato Un nulla, una cosa da niente, di nessun conto

Etimologia dal latino scolastico blittri, derivato a sua volta dal greco blìtyri, voce onomatopeica indeclinabile che imita il suono di uno strumento a corda, del tipo ‘dlin-dlin’ o ‘blin-blin’; per questo, utilizzata anche nel senso di “parola senza senso”, in quanto priva di contenuto semantico.

  • «In confronto al Louvre, questo museo è un blittri!»

Quando un atto normativo, siglato il 17 marzo 1861, diede ufficialmente alla luce il Regno d’Italia, non si può certo dire che gli abitanti di questo oblungo territorio di oltre mille chilometri si sentissero tutt’un tratto parte di un’unica identità culturale: come si suol dire, fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani. E, sopratutto, l’italiano.
Come stimò Tullio De Mauro, la percentuale di italofoni all’epoca dell’Unità doveva essere di circa il 2,5% o poco più. Un dato che, senza mezzi termini, ci invita a riflettere su quella che era invece la vera e vivida lingua parlata da questi milioni di neo-italiani: il dialetto.

Per la nostra storia culturale i dialetti sono terra, radici, identità, sono focolare domestico, legame ininterrotto con gli antenati, sono testimonianze di storie antiche, di modi di vivere e di pensare che talvolta non esistono più. Essi avevano, e hanno tutt’oggi, una vita tutta loro, fatta di espressioni variopinte, di parole intraducibili, di suoni multiformi.

Ed è proprio di un suono che si parla con questa voce trillante, blittri, una parola che a molti potrebbe suonare nuovissima mentre ad altri ricordare le domeniche in famiglia.

Si tratta infatti di un termine che pur non godendo di fama presso l’italiano corrente, figura invece in diversi dialetti della nostra penisola, senza discriminazioni tra nord e sud ma con delle leggere modificazioni fonetiche. In padovano e piemontese troviamo le forme blitri o blictri, mentre in emiliano e lombardo piuttosto blicter, blictar, bliter, blitar e così in siciliano bblitri o biltri: in tutti i casi il significato è pressocché il medesimo, vale a dire qualcosa che vale poco o niente, una cosa piccola, una minuzia, oppure qualcuno da tenere in poca considerazione o ancora dei chiacchiericci e delle voci che non significano nulla. Ma da dove nasce questa voce bizzarra, così performante tra le file dei nostri dialetti?

Il primo a congetturarne l’etimo fu proprio un giovanissimo Leopardi, che nelle prime pagine del suo Zibaldone segnala:

Non si trova in verun Dizionario italiano ch’io abbia potuto consultare ma è comune fra noi la parola blitri o blittri o blitteri che significa, un niente, cosa da nulla, ecc. […] Ora questa parola è totalmente e interamente greca: βλίτρι, che anche si diceva βλίτυρι e βλήτυρι e βλίτηρι (come anche noi) e forse anche βρίτυρι, e non significava nulla.

Il giovane Giacomo, alla ricerca di una possibile etimologia per questa parola che gli era così familiare ma di cui non trovava corrispondenze lessicografiche, aveva ottenuto una risposta piuttosto soddisfacente dalla voce greca blìtyri.

Essa, tra gli antichi greci e più tardi in epoca romana, era spesso citata come esempio di parola incomprensibile, priva di significato, un semplice “suono” a cui non corrispondeva alcun referente reale:

L’espressione (lèxis) è diversa dal discorso (lògos) perché il discorso è sempre semantico o significante, l’espressione può essere anche senza significato, cioè inintellegibile, come per esempio blìtyri, mentre il discorso è sempre significante.

Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi illustri

A dispetto di una tradizione che la vuole priva di qualsiasi tipo di senso, questa parola affonda invece le sue radici nella tradizione musicale dell’antica Grecia: si ritiene fosse nata infatti come voce onomatopeica che riproduceva il suono tipico di uno strumento a corde (traducibile con qualcosa del tipo blin-blin, dlin-dlin) e che poi, per estensione, sia passata ad indicare un qualsiasi suono privo di contenuto semantico, una parola vuota.

È affascinante poter ripercorrere questo filo di Arianna che dai suoni delle lire greche, passando attraverso trattati di logica e di filosofia del linguaggio, ci conduce fino nel vivo pulsare delle espressioni dialettali.
Una voce che, nel suo non significar nulla, si è tenuta lontana dagli sguardi indiscreti della lingua ufficiale ed è stata invece tramandata tra generazioni, come un piccolo e prezioso tesoro di famiglia.

Parola pubblicata il 03 Ottobre 2022

Leopardi spiega parole - con Andrea Maltoni

Giacomo Leopardi, oltre ad essere un grande poeta, ha osservato e commentato esplicitamente molte parole della nostra lingua. Andrea Maltoni, dottoressa in filologia, in questo ciclo ci racconterà parole facendolo intervenire.