Cafarnao
ca-fàr-na-o
Significato Luogo di grande confusione, mucchio confuso
Etimologia dal nome della città di Cafarnao, in Galilea, dove predicò Cristo.
Parola pubblicata il 07 Settembre 2017
ca-fàr-na-o
Significato Luogo di grande confusione, mucchio confuso
Etimologia dal nome della città di Cafarnao, in Galilea, dove predicò Cristo.
Parola pubblicata il 07 Settembre 2017
Le narrazioni cristiane sono terreni che hanno dato un largo frutto al nostro lessico: per la loro diffusione e notorietà, e per la presa che hanno avuto sull’immaginario collettivo, molti nomi di personaggi, animali, piante, oggetti e luoghi ivi citati hanno preso profili proverbiali, coagulandosi in antonomasie. Questo non è certo il primo che troviamo.
Cafarnao, in ebraico Kefar Nahum, ossia ‘villaggio della consolazione’, era una città della Galilea, affacciata sul lago di Tiberiade. Qui si tramanda che Cristo abbia iniziato le sue predicazioni: e se già Cafarnao era una città movimentata, con le folle da lui attratte pare sia diventata eccezionalmente caotica. Di qui scaturiscono i significati figurati.
Un cafarnao è un luogo di grande confusione, e per estensione un mucchio disordinato: trasecoliamo quando il garage da riordinare si rivela un cafarnao terrificante; per quanto sia un cafarnao l’ufficio opera con un’armonia e un’efficienza formidabili; e non facciamo in tempo a sgombrare la scrivania che è di nuovo un cafarnao.
Non è una parola delle più consuete, ma il suo retroterra è solido, e tanto la forza dell’immagine quanto quella del bel suono pieno la rendono una risorsa da tenere a mente.
Peraltro va detto che vive (è vissuta) anche in una locuzione piuttosto specifica, “andare/ mettere/ mandare in cafarnao”, col significato di ‘inghiottire’ (l’idea è circa quella di gettare nella confusione dello stomaco). Per esempio la usa il Sacchetti nella novella centoventiquattro del suo Trecentonovelle (libro spassosissimo, e la racconto perché è una delle novelle preferite di mio padre): narra di un celebre mangiatore, Noddo d’Andrea, che riusciva a spolverare anche il cibo più caldo. Quando un “piacevole uomo”, Giovanni Cascio, si ritrovò a tagliere con costui (le porzioni venivano servite su taglieri per due), Noddo iniziò subito a trangugiare i maccheroni “boglientissimi” che avevano loro portato, mentre Giovanni umanamente aspettava che si freddassero un poco. Così, per evitare che anche la parte che non gli spettava andasse in cafarnao nelle fauci di Noddo, Giovanni iniziò a gettare a un cane i propri maccheroni. Davanti a quello spreco Noddo prima rise ma poi pregò Giovanni di fermarsi: avrebbe mangiato più adagio. Si accordarono che (per rifarsi) per ogni boccone di Noddo Giovanni ne avrebbe mangiati due, e così il mangione fu domato e ricondotto a mangiare “a ragione”.