Capitali
Dialetti e lingue d'Italia
ca-pi-tà-li
Significato Varietà linguistica: gallurese — cuscino, in particolare per dormire
Etimologia dall’aggettivo latino capitalis, ‘per la testa’.
- «Oh bedda mea capitali di lana, oh bedda mea janca foltuna»: O mia bella, cuscino di lana, o bella mia, bianca fortuna (da F. De André, M. Pagani "Monti di Mola", nell’album “Le Nuvole” del 1990, frase in gallurese)
Parola pubblicata il 15 Dicembre 2025 • di Carlo Zoli
Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli
L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.
L’album Le Nuvole, capolavoro di De André e Pagani, scritto con la collaborazione di Ivano Fossati, contiene canzoni, oltre che in italiano, in altri tre dialetti: napoletano, genovese, gallurese. Ma qui sarà il caso di dire in altre tre lingue d’Italia, vere e proprie lingue letterarie visto l’uso che De André e Fossati ne fanno.
Una delle canzoni è in lingua gallurese: questa Monti di Mola da cui sono tratte la parola e la citazione di oggi. Il gallurese è una lingua parlata in Sardegna, una delle quattro lingue non linguisticamente sarde, cioè per così dire d’importazione, dell’isola, insieme al catalano di Alghero, al sassarese e al genovese-tabarchino. Il gallurese, un dialetto ancora molto vitale, più del sardo propriamente detto, è una varietà linguistica arrivata dalla Corsica in circostanze e tempi non del tutto chiariti, che poi si è parzialmente ‘sardizzata’, specie nel lessico. La Corsica, che dal 1768 appartiene alla Francia, è dialettalmente pienamente parte dell’Italia centrale, e così i dialetti della Sardegna nord da lì arrivati.
La canzone, il cui titolo non è altro che l’antico nome della stessa regione della Gallura, è poetica e allo stesso tempo ironica e scherzosa. Narra di un amore impossibile tra un pastore e una bellissima asina bianca… amore che non può finire in matrimonio perché quando si vanno a guardare i documenti per celebrarlo si scopre che i due sono ‘cugini di primo grado’ (fratili in primu). Il pastore paragona l’amata a un ‘cuscino di lana’, e usa la parola capitali, che vuol dire esattamente ‘cuscino per dormire’, non solo in gallurese, ma, con differenze fonetiche, in diversi altri dialetti italiani.
Ma andiamo con ordine: molte lingue distingono, o distinguevano, una parola per ‘cuscino per dormire’ e una per ‘cuscino per sedersi’. L’italiano è una di quelle che ha finito per confondere i due concetti, come si vede dall’etimologia di cuscino, legato a ‘coscia’. In ogni caso quasi sempre quello che conta è la parte che si appoggia; abbiamo il tipo ‘guanciale’, perché si appoggiano le guance, il tipo ‘origliere’, perché si appoggiano le orecchie, e il tipo ‘capitale’ (affine all’italiano ‘capezzale’) perché si appoggia appunto il capo.
A un recente dottissimo convegno che si è tenuto a Zurigo presso il Seminario di Romanistica dell’Università una interessantissima comunicazione analizzava proprio i tipi lessicali nell’italiano antico, e nei dialetti moderni, per ‘cuscino’. Una delle forme, tugela, che pare indichi però solo il cuscino per sedersi, costituisce un rompicapo etimologico a tutt’oggi.
Un altro esempio dell’enormità di significati che la parola caput assume: qui siamo di fronte a un uso assolutamente letterale, mentre in italiano la stessa parola dal significato ‘capo di bestiame’ (cioè individuo, esemplare) è passata a significare ‘dotazione finanziaria’, esattamente come pecunia non è altro che un’evoluzione particolare della parola che indica la ‘pecora’. Dal significato di ‘parte più importante’ si arriva a espressioni come di capitale importanza.
Ma nello stesso disco di De André c’è un’altra canzone straordinaria, stavolta in genovese, in cui c’è un’altra parola per ‘cuscino’: sarebbe bello far sapere a Fossati (a De André purtroppo non è più possibile) che, forse senza volerlo, hanno affrontato nella stessa facciata del loro LP un problema dibattuto della linguistica storica.
Questa canzone è A Çimma, dove gli autori descrivono – con incredibile maestria – la ricetta per la Cima genovese, che è una preparazione molto complessa di carne ripiena. Bell’oegê straponta de tutto bon ‘bel cuscino imbottito d’ogni bontà’, dove si vede il tipo ‘origliere’, forse non da tutti risconoscibile nel genovese oegê (pronciato /uegée/) di cui dicevamo prima. Gli autori ci spiegano poi che «tocca a-o fantin a primma cotelâ… mangiæ, mangiæ: no sæi chi ve mangiâ» «tocca a chi non è ancora sposato la prima coltellata», per tradizione. L’autore, o il cuoco, con amarezza, o forse con un certo astio (ma a me piace pensare con la saggezza della persona matura): «mangiate, mangiate, cioè godetevela, ché ancora non sapete chi vi mangerà». Meraviglia pura.