Catabasi
ca-tà-ba-si
Significato Classicamente, discesa negli Inferi; ritirata; discesa
Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo catàbasis, prestito dal greco katábasis, composto di katá ‘giù’ e básis ‘cammino’.
Parola pubblicata il 11 Luglio 2021
La discesa agli inferi (risuona un accordo tenebroso). Oddio, sì, la catàbasi è sostanzialmente questo, ma ha un respiro ampio: vediamo un po’ che cosa ci apparecchia, questa parola, che a vederla subito, senza nemmeno sapere che roba sia, ci ammicca col suo profilo greco bello e dotto, con l’accento elegantemente sdrucciolo.
La sua costruzione è semplice: ha origine nel greco katábasis, che significa in genere ‘discesa’, ed è composto di katá ‘giù’ e básis ‘cammino’. Ora, prima di affrettarci agli inferi dobbiamo rilevare come questo termine, in origine, indicasse anche (e forse specialmente) un andare ingiù dalle terre interne verso la costa del mare. A qualche persona infusa di gran sapere sovverrà che si tratta del contrario di anàbasi — anábasis in greco — che invece indica un salire, e un avventurarsi salendo nell’entroterra (noi che scocchiamo in auto e treni non ci pensiamo spesso, ma allontanarsi dal mare è quasi sempre un salire — magari ci appare più evidente in bici). Questo movimento verso il mare non resta nella catabasi italiana; però il fatto che l’anabasi, proprio per il suo addentrarsi, avesse il significato di ‘spedizione’, ha fatto sì che la catabasi acquisisse per bella simmetria quello di ‘ritirata’. Certo, in un registro letterario — e quindi sarà molto sostenuto e aulico il discorso in cui si parlerà della catabasi dell’esercito in rotta per la valle e la pianura.
Ma arriviamo al cuore nero e pieno di possibilità di questa parola. Dicevamo che si tratta di una discesa agli inferi; e se molti dizionari registrano questo significato relativamente alle anime della gente morta (ricordiamo che nel mondo classico l’Oltretomba era tutto sotterraneo, perfino i Campi Elisi), nella storia della letteratura sono però ben più celebri le catabasi in cui una persona viva discende negli inferi e ritorna.
È in effetti un topos, un elemento tematico letterario, universalmente ricorrente: ne parla la letteratura mesopotamica, ne parla Omero (nell’Odissea), c’è nell’Eneide di Virgilio, nella Farsalia di Lucano, nel Libro della Scala che racconta del viaggio oltremondano di Maometto — e ci ha scritto sopra una cosa anche un poeta fiorentino, senza troppa originalità.
Ebbene, questo significato di discesa infera fotografa naturalmente una spirale di dramma e disperazione che prende i connotati ora della sofferenza, ora dell’abiezione — ma anche del coraggio e della strenuità: la discesa all’inferno ha ampi significati figurati. Si può parlare della catabasi che porta un personaggio ameno e positivo a esprimere una natura malvagia, di un’incompresa catabasi nella depressione che chiede di essere accolta, della catabasi di chi scende a prestare servizio all’ultima gente del mondo.
Una parola grande nei significati, alta per ricercatezza — e un po’ impervia. Ma ha un tratto semplice e netto, che sa dare un orizzonte ampio di viaggio a una parabola personale.