Croda

crò-da

Significato Tipica struttura di roccia dolomitica con pareti verticali e spigoli vivi

Etimologia voce veneta, di origine preindoeuropea.

  • «Contro il cielo si staglia il profilo spezzato delle crode.»

Siamo davanti a una parola precisa, locale, che si è guadagnata una grande fama e che nasconde dei trascorsi inafferrabili.

Il termine ‘croda’ ha diverse accezioni, ma una in particolare spicca, sia perché è un toponimo ricorrente (ci sono molte crode sulle nostre cartine), sia perché è oggettivamente spettacolare. Si tratta di una struttura rocciosa tipica delle Dolomiti, nuda o bianca, con pareti nette, spigoli vivi, guglie — e composta appunto di dolomite, una roccia che dà il nome all’intero gruppo montuoso, formatasi in acque primordiali brulicanti di vita. Ne informa il paesaggio con un’evidenza unica, stagliandosi sopra il verde dei pascoli e dei boschi.

È un tipo di vetta impressionante e dal grande richiamo: anche chi passeggia a fondovalle l’osserva domandandosi “Come sarà lassù? Ci salirà qualcuno?”. Tale è il magnetismo della croda da diventare un’antonomasia per qualunque tipo di parete rocciosa verticale, di guglia, di sommità aspra. Possiamo parlare della Croda Rossa di Sesto, degli stambecchi che trascorrono le crode, della croda da cui scende d’un balzo il torrente.

E comunque sì, falchi e stambecchi a parte, le crode sono frequentate anche dalla figura del crodaiolo, che oggi ha una vocazione di alpinismo sportivo, ma che in passato (un passato che per benedizione pare incolmabilmente lontano) ha avuto anche una vocazione di alpinismo bellico. E qui tocchiamo un punto particolarmente interessante della croda.

Il suo successo in italiano è ottocentesco, e però l’etimologia la considera di ascendenza pre-indoeuropea. Che cosa vuol dire? Come è possibile?
Anche al netto di qualche attestazione seicentesca, o di qualche crota in latino medievale nel senso di ‘roccia’, ‘croda’ è un termine di area veneta che è evidentemente rimasto sui monti fino a duecento anni fa.
Le migrazioni indoeuropee, difficili da datare ma successive alla trovata dell’agricoltura, hanno portato in Italia popoli e lingue, ma non sono giunte in un’Italia deserta, né hanno sovrascritto integralmente le tradizioni linguistiche precedenti. Come abbiamo visto parlando di lingua osca, spesso lingue estinte permangono come sostrato, con una manciata di termini e tratti linguistici che persistono nelle prestigiose lingue successive.

La ‘croda’ può essere proprio un residuato del sostrato prelatino, rimasto nella zona del Cadore, dell’Ampezzano: e quindi l’analogia fra la parola e ciò che descrive non starebbe solo in una notevole rappresentatività fonosimbolica, asciutta, aspra e rotta: si tratterebbe anche di una parola indisturbata da tempo immemorabile, come le rocce che descrive.

Parola pubblicata il 28 Luglio 2022