Cubicolo

cu-bì-co-lo

Significato Locale molto piccolo; nella casa romana, stanza da letto

Etimologia voce dotta recuperata dal latino cubiculum, da cubare ‘giacere, stare distesi’.

  • «Il tavolo non ci starà mai nella stanza, è un cubicolo.»

Ci si può immaginare che il cubicolo, in quanto stanzetta, locale piccino, sia in effetti un cubetto. Avrebbe senso, le nostre stanze hanno forme che tendenzialmente sono parallelepipedi, ma il nome di queste figure a dispetto della precisione ci pare antieconomico, e quindi vieni, ti faccio vedere il cubicolo in cui vivo in affitto, un affare, solo cento euro al mese, al metro quadro. Invece no — il cubo e il cubicolo non sono parenti nemmeno alla lontana.

Il latino cubus deriva dal greco kýbos, cioè ‘dado’ — le forme cubiche non esistono quasi in natura, eccettuati certi cristalli, e il dado è uno dei pochissimi artefatti che fin dall’antichità, nella sua versione più comune, ha questa forma. Invece il cubicolo deriva dal verbo latino cubare, cioè ‘stare disteso’. È un verbo di origine misteriosa ma che ci è familiare: per via popolare origina il nostro covare ma lo riconosciamo in incubo, succubo, concubino. Inoltre è parente stretto del verbo -cumbere (attestato solo in derivati, che parimenti ci sono ben noti perché sono passati in italiano — dall’incombere al soccombere al recumbente).

Insomma, arrivando al punto, il cubicolo è la stanza da letto della domus romana. È una stanza di quelle che danno sull’atrio; spesso i cubicoli sono affiancati e sono stanze piuttosto piccole (eccoci). Ricordiamolo, la domus è la casa di gente abbiente ma in città, dove comunque gli spazi sono risicati, ed è un contesto in cui se una stanza non è polifunzionale (come l’atrio stesso, ad esempio) si riduce volentieri ai minimi termini.

È un’immagine che frutta, quella del cubicolo. Nel mondo latino diventa anche un vano sepolcrale nelle catacombe, ad esempio, ma in italiano acquista un profilo generale di luogo ristretto — con un tratto riposto, arcano, intimo, che si alterna a uno misero, angusto, carcerario.
È divertente notare come a metà Ottocento il cubicolo fosse percepito come termine antiquato, da discorsi affettatamente eruditi o semplicemente desueto, mentre oggi è tornato alla ribalta nella lingua comune.

Posso parlare del cubicolo in cui mi chiudo per registrare, del cubicolo che è il mio spazio di lavoro in ufficio; posso raccontare di come il ristorante familiare sia poco più di un cubicolo, del cubicolo in cui veniamo ricevuti; del cubicolo in cui ho ordinato un archivio, del cubicolo mentale in cui conservo un ricordo.

È una parola dal suono simpatico, molto espressiva, semplice nel denotare uno spazio di piccole dimensioni ma complessa e ambivalente nelle implicazioni. Davvero una bella risorsa — che una volta ponderata meglio è forte di una lieve vertigine. Quella dell’usare in modo corrente il nome di una stanza di un passato remoto, luogo di vite di ascendenti irrimediabilmente distanti.

Parola pubblicata il 21 Marzo 2024