Immillare

Parole d'autore

im-mil-là-re (io im-mìl-lo)

Significato Moltiplicare a migliaia, accrescere indefinitivamente; nella forma riflessiva crescere in modo smisurato o ripetersi innumerevoli volte

Etimologia verbo derivato dal numerale mille con l’aggiunta del prefisso in-, usato per la prima volta da Dante nella Divina Commedia.

C’era proprio bisogno di un sinonimo per ‘moltiplicare’? Oltretutto esisteva già ‘centuplicare’, in circolo sin dal tardo latino. Vero, ma se permettete è un calcolo da ragioniere. La parola ‘immillare’ serve perché è bella.

«Nel cuor dove ogni vision s’immilla, / e spazio al cielo ed alla terra avanza, / talor si spegne un desiderio, e brilla / una speranza» (Myricae). Ora, Pascoli era Pascoli, ma persino lui avrebbe avuto qualche difficoltà a costruire versi del genere attorno al verbo ‘centuplicare’.

Né questo è l’unico gioiellino in cui la gemma dantesca sia stata incastonata: «E par che nell’immenso arido viso / della piaggia s’immilli il tuo sorriso» scriveva d’Annunzio nelle Laudi. E come dimenticare L’amica di nonna Speranza di Gozzano? «Il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone / e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto».

Per di più questa parola, che si scioglie in bocca come una caramella, viene alla luce in un contesto piuttosto curioso. Dante sta descrivendo il nono cielo del Paradiso, in cui gli angeli appaiono nella forma di innumerevoli scintille: «Ed eran tante, che ‘l numero loro / più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla» (XXVIII). Similitudine solo apparentemente enigmatica, perché si richiama a un’antica leggenda a sfondo matematico.

Si racconta che uno scià di Persia avesse ritrovato la gioia di vivere grazie al gioco degli scacchi, inventato per lui dal matematico Sissa Nassir. Lo scià, riconoscente, promise di donargli qualsiasi cosa avesse richiesto, ma il matematico si limitò a domandare una certa quantità di grano (o riso, a seconda delle versioni), da calcolarsi così: prendendo come base le 64 caselle della scacchiera, bisognava conteggiare un chicco per la prima, due per la seconda, quattro per la terza e così via, moltiplicando per due a ogni passaggio. Lo scià acconsentì, salvo scoprire a conti fatti che la quantità richiesta era precisamente di 18.446.744.073.709.551.615 chicchi, vale a dire più di 18 miliardi di miliardi.

Bene, scrive Dante, gli angeli che ho visto erano in numero ancor più vertiginoso rispetto a quello dei chicchi di Sissa Nassir (il quale, per inciso, secondo alcuni rinunciò di sua volontà alla gargantuesca ricompensa, secondo altri venne prontamente decapitato).

Tra l’altro il paragone non è solo un erudito ornamento, ma risolve un problema espressivo non da poco. Dante doveva descrivere una moltitudine più grande di quanto occhio umano avesse mai visto; peccato che la numerazione medievale, modellata su quella romana, non andasse oltre il concetto di migliaia. Il che, per noi abituati a parlare di milioni e miliardi, fa un po’ ridere. Ed ecco il lampo di genio: evocare obliquamente un numero enorme, fondato sul meccanismo della crescita esponenziale.

Qualcuno poi sostiene che i versi danteschi abbiano un significato ancor più preciso, giacché il verbo ‘immillare’ andrebbe inteso in senso letterale. Se i chicchi di Nassir raddoppiano da una casella all’altra, gli angeli di Dante si moltiplicano per mille; idealmente cioè ne troviamo uno sulla prima casella, mille sulla seconda, un milione sulla terza, e così via.

In conclusione perciò, se qualcuno vi chiedesse quanti angeli ci sono in paradiso, potreste rispondere che da fonte attendibile ne risultano circa 10 alla 189esima.

Parola pubblicata il 09 Agosto 2021

Parole d'autore - con Lucia Masetti

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