Macramè

Parole semitiche

ma-cra-mè

Significato Tecnica di tessitura, merletto decorativo eseguito tramite l’intreccio e l’annodatura di fili

Etimologia giunto in italiano dal genovese, attraverso il turco makramà che è dall’arabo māḥrama, cioè ‘fazzoletto’.

Oggi partiremo dalle sale da bagno delle nostre nonne per arrivare a concetti importanti appartenenti alla lingua araba e all’islam in generale e che, sorpresa, a noi occidentali non sono poi così estranei.
Il macramè è un merletto decorativo prezioso ed articolato, composto da un sistema di intrecci e nodi molto complessi. Tradizionalmente lo si trova ad ornare i bordi degli asciugamani di una volta, quelli fatti non di spugna bensì di lino e cotone, bellissimi, che fa quasi dispiacere utilizzare, quelli che erano cuciti a mano per il corredo nuziale dalle nostre ave, specie nel sud Italia.

Questi capolavori di tessitura che spesso riposano in bauli in soffitta hanno una storia antica, una storia che è sbarcata sulle coste italiane dopo aver attraversato il mare Mediterraneo. Il macramè è infatti una tecnica di tessitura decorativa tipica della cultura araba. La parola macramè deriva dall’arabo māḥrama che significa semplicemente ‘fazzoletto’, forse perché ci si ornavano i bordi dei fazzoletti con cui ci si copriva il capo, sia per uomini che per donne.

Scaviamo un po’ di più, portiamo alla luce qualche dettaglio ulteriore riguardo la radice da cui proviene māḥrama. Le parole semitiche vanno sfogliate come una pannocchia di granturco: bisogna togliere il superfluo davanti, in mezzo e alla fine per arrivare allo scheletro consonantico e comprendere gli archetipi linguistici contenutivi. La radice di māḥrama è ḥarama, verbo capostipite di un muro di lemmi da far venire il capogiro. Il significato primo è ‘privare’, ma subito dopo, tra le parole derivate troveremo ‘proibire, vietare’ e poi ‘essere sacro, inviolabile’ (taḥarrama), o ancora ‘tabù’, ‘privato’ e ancora ‘rispettabile, onorevole’…

Che cosa ci dice della cultura araba il fatto che termini indicanti i concetti di fazzoletto, proibizione, tabù, onore, sacro e inviolabile siano accomunati tutti dalla medesima radice linguistica? Qualcosa che a noi europei, eredi della cultura greco-romano-ebraica (e cioè, molto succintamente, figli del cristianesimo) non è sconosciuto. Ciò che è proibito è un territorio su cui non si deve sconfinare, che si deve rispettare (i Dieci Comandamenti), ciò che è sacro è qualcosa che va protetto (la fiamma della dea Vesta, alimentata e custodita dalle sacerdotesse vestali), che va onorato (con sacrifici agli dei dell’Olimpo), e molto spesso è escluso allo sguardo pubblico, riservato ai ministri del culto (il Sancta Sanctorum del tempio). Ciò che è sacro è insomma anche un mistero, perché non visibile (la transustanziazione nell’eucaristia). E, su di un piano più pratico, che cosa sa nascondere le cose alla vista altrui meglio di un telo, di un tessuto… insomma, meglio di un fazzoletto?

Da un umile pezzo di stoffa, decorato con cura grazie a nodi e intrecci arzigogolati, possiamo giungere a parlare dei grandi concetti archetipici, pilastri di interi sistemi culturali. Una bella metafora per quello che si fa con UPAG, sciogliere i nodi e i legacci che il tempo ha stretto intorno alle parole per liberarne tutta la bellezza intrinseca.

Parola pubblicata il 08 Ottobre 2021

Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini

Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.