Vestale
ve-stà-le
Significato Sacerdotessa del culto romano di Vesta; donna di vita austera; persona che tutela con intransigenza un valore
Etimologia voce dotta recuperata dal latino Vestalis, dal nome della dea Vesta.
Parola pubblicata il 15 Giugno 2021
Purezza liliale e forza inflessibile. Se parliamo dell’erede che si fa vestale dell’opera di un avo defunto, di una musicista riconosciuta come vestale di una certa lettura di un compositore, o del ruolo che nel congresso internazionale hanno avuto alcuni Stati vestali della democrazia, rappresentiamo un profilo composito e netto: qualcuno che candidamente custodisce e difende un valore assolutamente proprio, declinato come ideale, come tradizione, come principio.
L’ambivalenza di questo uso ha un vigore estremo — e lo deve al ruolo quasi leggendario che le vestali propriamente dette ebbero presso gli antichi popoli italici, e in particolare i Romani. Sintetizzando qualcosa che è generalmente noto, le vestali erano sacerdotesse custodi del fuoco sacro della dea Vesta, presso il suo tempio. Ci possiamo immaginare questa divinità come minore: non è rumorosa e avventurosa, non ci sono strepitosi racconti che la coinvolgano. Si riporta spesso che era la dea del focolare, e in quanto tale venerata nell’intimità domestica, ma — e questo è il punto forse più interessante e umbratile — il suo fuoco non era solo questo.
Il fuoco di Vesta è la città. Secondo la ricostruzione etimologica più accreditata, il suo stesso nome (come quello dell’omologa greca Estìa) è da confrontare col greco ástys, che significa proprio ‘città’ — senza contare che Rea Silvia, madre di Romolo urbefondatore, era una vestale di Alba Longa. Ma in che senso è la città?
Una delle prime malte che tiene insieme un consorzio urbano antico è il fuoco, quale bene comune, la cui disponibilità è da salvaguardare. Si articola nei singoli focolari domestici famigliari, ma è un’entità unitaria — e il suo presidio pubblico è il tempio di Vesta. Dobbiamo immaginare che tutte le formalità solenni del culto di Vesta — dalla custodia del fuoco eterno e degli amuleti che perpetuavano la potenza di Roma (pignora imperii) alla produzione della focaccia sacrificale detta mola salsa, dalla scelta delle sacerdotesse da bambine fra le famiglie patrizie alle punizioni mortali se avessero fatto spengere il fuoco o non si fossero conservate vergini — siano sviluppi religiosi della prima, originaria tutela consociata di una risorsa squisitamente artificiale, da cui dipende il calore, il nutrimento e il lavoro dell’intera comunità. Il fiume scorre con o senza di noi, anche nei recessi più inumani; il fuoco ha bisogno dell’umano, e per non dover essere rifatto ogni volta dalla scintilla di selce ha bisogno di organizzazione.
Così certo, ‘vestale’ è stato usato per indicare anche la donna dai costumi irreprensibili, ma la concentrazione sulla castità imposta per i trent’anni di servizio della sacerdotessa non è solo pruriginoso e vieto, ma parziale. Il tabù opprimente e il privilegio si accompagnano continuamente, nelle figure sacerdotali romane (lo stesso Freud si concentra sui sacerdoti flàmini nel suo famoso Totem e tabù): per impiegare il nome della vestale in senso figurato dobbiamo piuttosto riconoscere la sua vena astratta e generale, che è meravigliosamente chiara, nonostante si snodi in un’esperienza lunga quasi undici secoli, da Numa Pompilio che le istituì a Roma fino a Teodosio I che ne spense il culto pagano: custodia condotta con purezza e rigore, inflessibilità e candore. Inesorabile come il fuoco che custodisce.