Ofelimità
o-fe-li-mi-tà
Significato Secondo il pensiero dell’economista e sociologo Vilfredo Pareto, valore d’uso, soggettivo di un bene, misurato dal personale piacere che un soggetto ne trae o crede di trarne
Etimologia voce coniata da Pareto, dal greco ophéllimos ‘vantaggioso’, da óphelos ‘utilità, vantaggio’.
Parola pubblicata il 04 Ottobre 2021
Cogliere un tratto della realtà, perfino di percezione comune e immediata, può richiedere uno sforzo linguistico titanico. Ancora una volta ci troviamo davanti a una parola che per molte persone potrà essere mai vista prima, e che al primo impatto può sembrare difficile, ma che significa qualcosa di nostro — che si allarga sul crinale fra economia e filosofia.
Questo termine fu coniato da un economista e sociologo non di notorietà proverbiale ma di grandissima importanza nel campo, Vilfredo Pareto, che operò fra Otto e Novecento. Alcuni suoi contributi alla teoria economica cosiddetta ‘neoclassica’ (in ampia parte dominante tutt’oggi) sono ancora insegnati fin dai primi passi degli studi in economia.
Ora, si sa che in ogni disciplina le parole sono importanti — e in economia è molto usato il concetto di ‘utilità’ (ne stiamo parlando perché è proprio a questo concetto che si oppone la nostra ofelimità).
Si trova enunciato che in economia l’utilità è la capacità di un bene o di un servizio di soddisfare un bisogno, una domanda. Pensiamo variamente all’utilità del grano, all’utilità dei bonsai, all’utilità delle riproduzioni fedeli di parrucche incipriate settecentesche. Si tratta di una definizione scivolosa, problematica e sofferta, perché il concetto di utilità si presta ad accezioni differenti (tanto da richiedere una batteria di specificazioni): posto così può arrivare a paradossi, come includere ciò che non ha valore economico, includere anche ciò che ha un valore economico pur essendo dannoso e disutile, e non predica se ciò che descrive ha una dimensione oggettiva o soggettiva. Riguardo a questo punto, sappiamo che il valore economico che personalmente attribuiamo a un bene o un servizio può aver poco a che fare con un’utilità oggettiva commisurata a un inafferrabile e generale ‘sviluppo’, e magari espressa sul mercato. Questa dimensione soggettiva è l’ofelimità (e capiamo perché Pareto cercasse un termine speciale da usare al posto di ‘utilità’).
Qui non rilevano solo (o tanto) le caratteristiche intrinseche del bene o del servizio. Qui rileva il piacere che si trae (o che abbiamo la convinzione di trarre) dalla sua fruizione, o perfino dal semplice possesso. Così, sintetizzando, l’ofelimità è un valore d’uso, la qualità del soggettivamente utile, di valore, che dà piacere.
L’ofelimità di Guerra e pace di Lev Tolstoj — ottenibile con una banconota da 10 euro, e avendo un po’ di resto — può essere nulla per tante persone. Ma è un libro che può essere immensamente ofelimo per quelle persone che solo all’idea di leggerlo, di poterlo leggere quando vogliono, o di poter in ogni momento risfogliare qualche pagina solo col godimento di rincontrare un nome, o di tenerlo in mostra per mostrarsi acculturate, fremono di piacere.
Così posso parlare dell’ofelimità che hanno per me i taglieri grossolani e il vino del contadino che posso comprare alla sagra; dell’ofelimità solare ed entusiasta di collezionismi bizzarri; dell’ofelimità di grandi maglioni di lana sformati, pesanti e lisi sui gomiti.
Si possono avere comprensibili incertezze, nell’uso di questa parola — che poche persone hanno in punta di lingua, di penna o di dito. Resta una risorsa interessante quando si cerca, con un alto parametro di precisione, un significato che calzi sul valore soggettivo di qualcosa senza perifrasi, senza attributi didascalici (e quando si cerca una parola sensazionale). Soprattutto, resta testimonianza di uno sforzo verso una lingua più esatta, anche se non ha preso gran piede. Complice l’artificiosità del termine: il greco óphelos non dà nessun altro frutto nella nostra lingua, e ofelimo non è né immediatamente trasparente né facilmente memorabile.