Offuscare

of-fu-scà-re (io of-fù-sco)

Significato Oscurare, rendere meno luminoso e brillante; diminuire, rendere meno apprezzabile o importante; annebbiare la vista o un’altra facoltà

Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo offuscare, derivato di fuscare ‘annerire, abbronzare’, con prefisso intensivo ob-.

Quando ci troviamo davanti a una parola di una grazia evidente e penetrante, le domande si fanno interessanti. Perché un verbo come ‘offuscare’ ci sembra così elegante?

Le prime attestazioni in italiano, del Trecento, ce lo presentano riferito alla vista — e già subito in metafora, presentando come offuscata la vista della mente, la comprensione. Questo vuol dire che era una parola matura, un prestito consapevole, e invitava già impieghi avanzati: i significati più concreti del verbo, in certi casi, hanno dovuto aspettare il Cinquecento per venire alla luce.

Eppure non è un termine del latino classico. Emerge nel latino tardo, fra II e III secolo, già nella forma offuscare che conosciamo noi, costruito sul verbo fuscare, un verbo poetico col significato di ‘annerire’, ma anche ‘abbronzare’ (fuscus era spesso riferito al colore della pelle). Gli era aggiunto il prefisso ob-, un prefisso che nell’italiano comune ha smesso di essere produttivo (cioè di essere impiegato nella generazione di nuovi termini), ma che in latino aveva mille significati: in questo caso è un rafforzativo, un intensivo, e col suo suono scuro riesce subito a determinare il tenore fosco (!) della parola intera.

Nei secoli, questo verbo ha avuto un successo clamoroso: il suo originario richiamo a un annerimento è stato declinato con una fantasia sferrata: lo usa Santa Caterina da Siena parlando di ciò che offusca lo sguardo rivolto al vero, Galileo per raccontare le sue osservazioni celesti, ma in usi svariati passa dal disorientare all’obnubilare, dal contestare e allo screditare, perfino all’aggrottare le sopracciglia (come è intuitivo rappresentare questa espressione come un viso che si offusca!).

Oggi la tempesta di significati sembra essersi placata, e l’offuscare si è illimpidito porgendoci caratteri precisi e affilati. Il modo in cui l’offuscare diminuisce una brillantezza genera turbamento: un cielo che si offusca, i colori di un quadro che si offuscano, l’offuscarsi di un ricordo. Conserva un allineamento col denigrare (un ‘annerire’ fratello) nei casi in cui l’offuscare fa calare la bellezza, l’importanza: il megalomane sente che il successo altrui offusca il suo, il campione solitario offusca il resto della squadra, la presenza di una persona eccezionalmente attraente offusca le altre.

E continuiamo a parlare della vista offuscata dalla luce abbacinante, dalla malattia, dal calo di pressione, dalla nebbia. Ma continua a scorrere potente la vena in cui la vista che viene offuscata è metafora di giudizio, discernimento, raziocinio e simili facoltà mentali turbate e indebolite: così il sentimento offusca la valutazione, un pensiero offusca la nostra attenzione, la normalità scontata offusca le meraviglie che ci circondano.

Un ‘foscare’ intenso e dalle molte forme; cupo, ma non ruvido e grave come un ottenebrare. Ha una sua leggerezza. Curiosamente, la radice protoindoeuropea da cui scaturisce è la stessa del dusk inglese, del tramonto, del crepuscolo.

Parola pubblicata il 28 Maggio 2020