Penetrale

pe-ne-trà-le

Significato Nell’antica Roma, luogo riposto della casa e del tempio dove venivano conservati i simulacri dei penati e degli dèi; la parte più intima, più riposta

Etimologia voce dotta, recuperata dal latino penetrale, neutro sostantivato di penetralis ‘interiore, interno’, a sua volta da penetrare ‘penetrare’.

Questa parola dal sapore ieratico, sacerdotale, ci rivela una realtà inattesa sul verbo ‘penetrare’, e ci offre un modo magnifico per significare la dimensione dell’intimo, del recondito, dell’inaccessibile.

Qualcuno ricorderà le divinità domestiche che, secondo i culti dell’antica Roma, proteggevano la famiglia: erano i penati (in sinergia coi lari, che però erano più orientati alla tutela del luogo). Il loro nome scaturisce da penus, che indica propriamente la dispensa, dove si conserva il cibo. E da questo riferimento germoglia, attraverso passaggi di cui non è banale ricostruire la cronologia, l’avverbio penitus, cioè il ‘profondamente, nella parte più intima’, così come il penetrare, che conosciamo bene. (E no, il pene non c’entra nulla, il latino penis aveva il significato originario di ‘coda’.)

Da questo quadro emergono anche il penetralis, col significato di ‘interiore, interno’, e il penetrale, col significato specifico di ‘luogo più riposto della casa’, dove erano conservati i simulacri dei penati, e per estensione quello del tempio dove si conservavano quelli degli dèi. Una sorta di omologo del naos del tempio greco, ma con uno splendido carattere domestico originario.

In italiano è un termine che viene recuperato nell’onda rinascimentale, alle porte del Cinquecento — e impiegato specie al plurale, ‘i penetrali’. Per estensione descrive lo spazio ideale più appartato, più segreto, più riposto, interno in modo quasi inaccessibile. Possiamo parlare di come riusciamo a trovare il libro che cerchiamo solo dopo una lunga ricerca nei penetrali della biblioteca, dei gioielli che si trovano nei penetrali di un romanzo ostico e lungo, della verità che custodiamo nei penetrali dell’anima — o anche più concretamente, degli insondabili accordi che vengono stretti nei penetrali del palazzo, della sterminata oggettistica che si trova nei penetrali della borsa della mamma, di un abito mentale forgiato nei penetrali dell’accademia, del magnifico giro che faremo fare ai nostri amici, appena potranno venire a trovarci, nei penetrali della nostra città.

Si tratta di una parola molto alta, come in effetti si addice allo spazio quasi sacro che descrive, e ha il vantaggio di essere facilmente comprensibile: anche quando sconosciuta, l’immagine del penetrare che vi risuona è chiara e intuitiva. Senza le pretese dell’impenetrabile, traccia spazialmente il mistero del dentro. Umberto Eco la usava spesso, e con grande soddisfazione.

Parola pubblicata il 17 Dicembre 2020