Pragmatica
prag-mà-ti-ca
Significato Disciplina linguistica che si occupa di studiare l’uso del linguaggio nel contesto, ovvero di come le frasi vengono utilizzate dai parlanti in particolari circostanze comunicative, di ciò che non è scritto nelle parole, di ciò che nasce dall’intenzione di chi parla, dalle aspettative di chi ascolta e dalle regole implicite della cooperazione nella conversazione
Etimologia dall’inglese pragmatics, coniato dal filosofo americano Charles Morris a fine anni ‘30; a sua volta dal greco prâgma ‘azione, fatto’.
- «Anche se è molto coperta, la pragmatica dell'insinuazione è evidente: vuole portarti a prendere una posizione.»
Parola pubblicata il 04 Dicembre 2025 • di Greta Mazzaggio
Alcuni, sentendo parlare di pragmatica, faranno correre le sinapsi fino ad approdare all’aggettivo pragmatico che, riferito a una persona, evoca chi va dritto al punto e risolve i problemi al motto di ‘bando alle ciance’, chi predilige l’efficacia alla teoria. In altre parole, l’opposto del sognatore. E in effetti, l’associazione non è affatto peregrina: entrambi i termini – la disciplina e l’aggettivo – discendono dallo stesso greco prâgma, «azione, fatto concreto».
Nel linguaggio comune, dunque, pragmatico indica chi traduce il pensiero in azione. È l’uomo o la donna dell’efficienza, che non si perde in chiacchiere e non si compiace del pensare ma del risolvere. Nella lingua della scienza, invece, la pragmatica è quella parte della linguistica che studia le azioni che si compiono parlando, il linguaggio analizzato nel contesto dello scambio comunicativo. Il nesso è evidente: in entrambi i casi si tratta di agire.
Il punto cardine è che il linguaggio, lungi dall’essere un banale strumento per raccontare la realtà, può essere esso stesso una forma d’azione. Dire «Prometto che verrò» non significa rappresentare un fatto, ma crearlo: nel momento in cui pronuncio quelle parole, l’atto della promessa si compie. Allo stesso modo, quando ordiniamo «Chiudi la porta», non descriviamo uno stato di cose ma cerchiamo di modificarlo. Con le parole possiamo avvertire, persuadere, sfidare, confortare, alludere, manipolare, commuovere. È questo il territorio della pragmatica: capire come gli esseri umani usano il linguaggio per agire sugli altri, per influenzare pensieri, stati mentali e comportamenti; per costruire ponti o per distruggerli.
Certo, le parole da sole non sempre bastano. Talvolta servono condizioni sociali o convenzionali perché un atto linguistico funzioni. Pensiamo ad un semplice «sì, lo voglio»: l'effetto, dinanzi a un delizioso manicaretto, sarebbe semplicemente di indicare che è nostra intenzione addentarlo quanto prima. Ma se la medesima asserzione venisse, invece, proferita ai piedi di un altare, durante una cerimonia nuziale, beh, il suo peso sarebbe ben diverso, con ripercussioni profondissime, legali, sociali ed emotive.
E, tuttavia, questa nobile disciplina non si esaurisce nella contemplazione dell’agire linguistico, bensì osserva anche come i parlanti adattano il linguaggio alle situazioni, agli interlocutori, alle intenzioni più sottili. Una frase può essere perfettamente grammaticale e sensata, e tuttavia risultare fuori luogo. Se alla domanda «Sai che ore sono?» rispondessimo «Il mio cane è simpatico», nessuna legge linguistica sarebbe infranta, ma la comunicazione fallirebbe miseramente.
Spesso, infatti, non diciamo ciò che intendiamo, ma confidiamo che l’altro lo capisca.
In una torrida giornata d’estate, nel nostro ufficio trasformato in forno, potremmo sospirare un «mamma mia, che caldo» sperando che il collega vicino alla finestra colga il messaggio implicito e la apra. Dopo un appuntamento disastroso, potremmo limitarci a un diplomatico «è una brava persona», per non ferire la sensibilità dell’amico che ci ha presentato la sciapa creatura con cui abbiamo condiviso la cena.
Ecco, la pragmatica si muove dunque nei meandri del detto e del non detto, studia le strategie dell’implicito, analizzando la sottile coreografia con cui comunichiamo più di quanto sembri, o – non di rado – meno di quanto crediamo, sostenuti da intonazione, contesto e conoscenze condivise. L’obiettivo è quello di svelare i meccanismi che permettono di decifrare l’ironia, l’allusione, la presupposizione, insomma, tutto ciò che sta tra le righe; ci mostra come capiamo l’altro persino quando le sue parole sembrano contraddirlo. È la disciplina dell’intenzione e dell’interpretazione, della mente che parla e del suo legame con la mente che capta.
In questo senso, tornando al nostro incipt, la differenza tra la pragmatica e l’essere pragmatici è forse più di prospettiva. La prima guarda ai meccanismi con cui il linguaggio produce effetti nel mondo; il secondo riguarda l’attitudine con cui ci si muove in quel mondo. Ma i due domini si toccano. Anche chi non ama troppo le parole, per agire deve pur usarle. Nessuna azione sociale è muta. Persino il più pragmatico degli individui finisce, prima o poi, per diventare un caso da manuale di pragmatica.