Precettare

pre-cet-tà-re (io pre-cèt-to)

Significato Comandare con un precetto; richiamare in servizio

Etimologia voce dotta recuperata dal latino praeceptàre, intensivo di praecìpere, ‘prescrivere, insegnare’, letteralmente ‘prendere prima’, derivato di càpere ‘prendere’, con prefisso prae-.

  • «Il ministro ha precettato i lavoratori.»

Ci sono parole che sentiamo quasi esclusivamente in certe occasioni specifiche, e magari le accogliamo come termini tecnici senza troppe domande — anche quando evidentemente sono parole collegate ad altre curiose e versatili, di maggior respiro.

Il verbo ‘precettare’ trasvola regolarmente sui giornali quando si ragiona di scioperi dibattuti, di sindacati che intendono farne grandi prove di forza e di governi che intendono contrastarli. In particolare la precettazione è un’ordinanza con cui l’autorità competente (prendiamo ad esempio il ministero dei trasporti, ma può essere la presidenza del consiglio, la prefettura e via e via, a seconda del caso) impone la limitazione di uno sciopero — magari riducendone la durata, posticipandolo o via dicendo secondo opportunità.
È un potere previsto per legge, perché il diritto allo sciopero si bilancia con altri diritti della persona di rilievo costituzionale, che per forza di cose dipendono da certi servizi (di trasporto, sanitari, eccetera): i conflitti collettivi, come gli antichi duelli, richiedono il rispetto di certe regole e di certe forme, anche se naturalmente anche la difesa istituzionale di questi altri diritti può essere pretestuosa — la politica è politica.

Questo è un significato che pare davvero molto specifico, per quanto possa avere usi più ampi sempre nell’ambito di un comando e di un richiamo in servizio da parte di un’autorità — ad esempio si precettano militari in congedo, come anche i beni necessari a uno sforzo bellico, che così vengono requisiti. Considerando il ‘precettare’, stiamo parlando in genere dell’atto dell’obbligare con un ordine. Ma il punto linguistico centrale è che si precetta con un precetto.

Forse abbiamo un’idea operativa di che cosa sia un precetto. Spesso lo intendiamo come prescrizione religiosa. Se qualcosa è di precetto, è d’obbligo per la persona cattolica (peraltro identificata come quella che segua i precetti del cattolicesimo) — ad esempio in una festa di precetto non si deve lavorare e si deve andare a messa. Ma sappiamo che ha anche una dimensione più ampia di norma, di regola: pensiamo a precetti morali, a precetti civili. Ecco, però è un genere di norma dal forte odore d’insegnamento, addirittura di lezione di vita. Questa particolarità si nota anche nell’etimologia.

Il latino praeceptum è la prescrizione, l’insegnamento, derivato dal participio passato di praecìpere, che è un prescrivere, un insegnare, ma che letteralmente è un ‘prendere prima’ (càpere è ‘prendere’). Non siamo davanti a una norma scolpita che sanziona un comportamento; siamo davanti a quello che sì, prende facilmente il profilo di un obbligo, ma che propriamente anticipa un esito d’esperienza. Prima che tu adotti un comportamento, il precetto ti prende da parte e ti caldeggia una scelta — attraverso fiabe morali, parabole, leggi, ordini. Insomma, il precetto vuole avere un che di paterno, per usare un’accezione rétro di questo termine, ti vuole istruire. D’altro canto l’aio, l’insegnante privato di un tempo impiegato presso famiglie facoltose, era anche detto ‘precettore’.

Così il precettare ci viene reso sotto una luce diversa: l’ordine che impone vuole essere istruttivo, in teoria, acciocché tu che lo ricevi convenga. Il che non toglie un bottone al fatto che il precettare sia e resti l’imposizione di un ordine; ma come diversi termini burocratici ama mostrarsi con uno smalto benevolo.

Parola pubblicata il 02 Gennaio 2025