Rana
Parole bestiali
rà-na
Significato Anfibio dell’ordine degli anuri. Nel lessico scientifico il nome è riservato alla famiglia dei ranidi; nel lessico comune può applicarsi a varie specie di diverse famiglie, accomunate dall’habitat acquatico
Etimologia dal latino ranam, di origine onomatopeica.
- «Non che sia una bellezza, pare una rana.»
Parola pubblicata il 19 Dicembre 2022
Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti
Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.
Più che una specie, la rana è uno stile di vita. Nel lessico comune infatti “rana” si applica a tutte le specie dell’ordine degli anuri che vivono in acqua, e che perciò possiedono un fisico snello e una pelle liscia e permeabile. Invece gli anuri che vivono sulla terra, di qualunque specie siano, sono detti generalmente rospi e sono più tozzi e bitorzoluti, mentre le raganelle, piccole e con zampine a ventosa, abitano sugli alberi.
Nessuno dei tre, comunque, gode di buona reputazione. Già una favola di Fedro addita la stupidità della rana che si gonfia d’acqua per diventare grande quanto un bue e finisce per scoppiare. Il favolista cinese Zhuangzi racconta invece che una rana rimase assai male quando una tartaruga le parlò del mare, perché non immaginava esistesse qualcosa di più grande del pozzo in cui abitava. Perciò i cinesi usano l’espressione “la rana nel pozzo” per descrivere la chiusura mentale di chi non vede al di là del proprio naso.
Eppure i poveri anuri non sono poi così stupidi. Alcune specie possiedono un’intelligenza spaziale molto sviluppata, per cui se allontanati dalla loro casa riescono a tornarci anche da grandi distanze. Per questo in Giappone il rospo si chiama kaeru, che significa anche “ritorno”.
Per di più rane e rospi sono visti come disgustosi, come testimoniano i detti “ingoiare il rospo” (sopportare qualcosa di molto sgradevole) e “sputare il rospo” (dire una cosa a lungo taciuta perché poco piacevole). Allo stesso modo in finlandese “farsi uscire una rana dalla bocca” significa dire una cosa inappropriata.
Ciò non ha impedito alle rane, tuttavia, di essere un cibo salvavita per molte persone povere che vivevano accanto a paludi o risaie. E questo non solo in Francia, ma anche in Italia. Se infatti gli inglesi hanno attribuito ai francesi lo sprezzante epiteto di mangiarane (frog eaters), lo stesso destino è toccato a noi italiani nella lingua serba (zabari).
Del resto il detto “andare per rane” (divagare o perdere tempo) testimonia ancora il fatto che la caccia alle rane era un’attività diffusa, anche se tradizionalmente riservata ai “mesi con la R”, così che gli animaletti potessero riprodursi in tranquillità durante l’estate. Certo, non era un’attività prestigiosa, nè redditizia. Al contrario oggi – siccome le rane sono più rare e, per la legge italiana, non si possono allevare – la loro carne è diventata un bene di lusso, arrivando a costare sui 40 euro al kg.
La rana insomma ha davvero acquisito un che di principesco, come nella fiaba del Principe ranocchio. Racconto curioso, tanto più che nella versione dei Grimm il ranocchio diviene umano non dopo un bacio della bella principessa, bensì dopo che questa – disgustata dalla pretesa dell’animale di giacere con lei nel suo letto – lo scaglia contro un muro. Un’immagine, secondo Jung, del passaggio dall’infanzia all’età adulta, in cui la sessualità si trasforma da disgustosa in appetibile.
Ma cosa succederebbe se qualcuno provasse veramente a baciare una rana o un rospo? Beh, anzitutto rischierebbe di contrarre la salmonella. Se poi parliamo di un anfibio velenoso gli esiti potrebbero essere ancor più spiacevoli, addirittura mortali. A meno che non si tratti del rospo delle canne, il cui veleno ha effetti simili a quelli dell’LSD.
E se la trasformazione in principe fosse solo l’allucinazione di una principessa con uno strano fetish per i rospi?