Specismo
Le parole e le cose
spe-cì-smo
Significato Concezione per cui la specie umana è superiore alle altre specie animali, e che giustifica lo sfruttamento degli animali da parte dell’uomo
Etimologia calco dell’inglese speciesism a partire da specie, voce dotta recuperata dal latino species, propriamente ‘aspetto, forma esteriore’, derivato di spècere ‘guardare’.
- «Non ha alcuna considerazione per gli animali, è smaccatamente specista.»
Parola pubblicata il 02 Gennaio 2024
Le parole e le cose - con Salvatore Congiu
I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.
Per il vocabolario Treccani questo termine, definito come la «convinzione secondo cui gli esseri umani sono superiori per status e valore agli altri animali, e pertanto devono godere di maggiori diritti», è ancora un neologismo. L’originale inglese speciesism, però (coniato dallo psicologo britannico Richard D. Ryder), risale al 1970, ed è forse per questa maggiore ‘antichità’ e dimestichezza che la definizione dell’Oxford Dictionary of Philosophy appare decisamente più centrata di quella del Treccani: «In analogia col razzismo e il sessismo, l’errato atteggiamento del rifiutare il rispetto per la vita, la dignità o i bisogni di animali di specie diverse da quella umana».
Con buona pace del nostro venerabile dizionario, infatti, ben pochi filosofi morali antispecisti dubitano che gli umani siano «superiori per status e valore» agli animali (farlo implicherebbe sostenere che in caso di emergenza salvare la vita di una persona sia importante quanto salvare quella di un topo), e che debbano «godere di maggiori diritti» (anche perché certi diritti gli animali non saprebbero utilizzarli). Anzi, Peter Singer – il filosofo che più ha contribuito a propugnare l’antispecismo col suo saggio Liberazione animale, uscito nel 1975 e ripubblicato nel 2023 in versione riscritta e ampliata – non solo pensa che attribuire un diverso valore a specie differenti non sia necessariamente specismo, ma non ama affatto parlare di diritti. Da buon utilitarista, dubita che esistano ‘diritti naturali’ oggettivi e assoluti, e comunque non li ritiene concettualmente indispensabili per difendere gli animali.
Peter Singer, in uno scatto del 2015 di Mal Vickers, è pronto ad essere ignorato e deriso.
Il punto di partenza di Singer è un ben preciso concetto di eguaglianza, intesa non come trattamento identico bensì come uguale considerazione degli interessi. I filosofi discutono da tempo sul significato da attribuire all’idea di uguaglianza: poiché gli esseri umani sono evidentemente differenti per molti aspetti, si tratta di trovare delle qualità così basilari da essere possedute proprio da tutti (compresi neonati e persone con gravi disabilità cognitive). Così facendo, però, emerge che questo denominatore comune – essenzialmente, la capacità di provare piacere e dolore – non è proprio solo degli umani ma anche di altre specie animali. Se un essere può soffrire, perciò, non è moralmente giustificato ignorare questa sofferenza: «dolori della stessa intensità e durata sono ugualmente cattivi, che siano provati da animali o da umani».
Questo semplice principio rende immorali certi trattamenti che infliggiamo agli animali, causando loro sofferenze enormi (maggiori, scrive Yuval Noah Harari nell’introduzione, «di tutte le guerre della storia messe insieme») a fronte di un godimento inessenziale per noi: l’uso degli animali per divertimento (zoo, circhi, corride); la degradazione e gli orribili patimenti negli allevamenti intensivi per produrre carne a basso costo; l’impiego di cavie nella ricerca per esperimenti anche di dubbia o nulla utilità. Opporsi a queste pratiche, ad esempio rifiutando di acquistare carne da allevamenti industriali, secondo Singer è il minimo che ogni persona coscienziosa dovrebbe fare. Quanto alla questione se sia lecito cibarsi di animali allevati eticamente e uccisi in modo indolore, invece, la risposta a suo avviso è moralmente più complicata e sfumata (altri autori, ovviamente, sono più netti anche su questo punto).
Se la maggior parte delle persone, quindi, nonché diventare vegetariana o vegana, neppure compie il passo di rifiutare le più palesi ingiustizie verso gli animali – e così facendo, secondo Singer, non ha basi per «criticare, senza ipocrisia, il razzismo o il sessismo» – è essenzialmente per due ragioni: la nostra tradizione culturale, che dall’antica Grecia al cristianesimo ha sempre considerato gli animali come funzionali e subordinati agli scopi umani, e l’ignoranza in cui è tenuto il grosso dell’opinione pubblica sul trattamento riservato quotidianamente a miliardi di animali.
Naturalmente, poi, c’è anche chi tenta di giustificare lo specismo con argomentazioni razionali, ma Singer le smonta ad una ad una: a chi motiva il carnivorismo osservando che anche gli animali si mangiano tra loro, obietta che questi non hanno scelta e agiscono per istinto, mentre noi possiamo scegliere e abbiamo alternative; a chi accampa le nostre superiori capacità intellettive chiede se, adottando questo criterio, troverebbe lecito infliggere a persone con gravi menomazioni cognitive le stesse sofferenze che ritiene giustificabili per gli animali; a chi obietta che gli animali non sono capaci di reciprocità in campo etico, risponde che neppure i bambini piccoli e le persone con profondi danni cerebrali lo sono; infine, a chi sostiene ‘realisticamente’ che ogni morale è sempre relativa ad un determinato gruppo, dunque è normale che gli umani privilegino la propria specie, oppone che l’etica dev’essere imparziale e razionale, altrimenti vigerebbe la legge del più forte.
Alla fine del libro, l’autore si chiede amaramente: «Continuerà la nostra tirannia, provando che la moralità non conta nulla quando si scontra con l’interesse egoistico, come i cinici hanno sempre sostenuto?». Poi però prevale l’ottimismo, affidato ad una nota (e spuria) citazione di Gandhi che secondo Singer descrive bene l’evoluzione del movimento animalista: «Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci».