Ventilare
ven-ti-là-re (io vèn-ti-lo)
Significato Far circolare l’aria in un ambiente chiuso; proporre, avanzare; lanciare in aria nel vento i cereali per liberarli dalle scorie leggere
Etimologia voce dotta, recuperata dal latino ventilare, da ventus ‘vento’.
- «Apri, ventiliamo un po' la stanza.»
- «È intervenuta ventilando una soluzione molto diversa.»
Parola pubblicata il 30 Luglio 2022
Questa parola ci può confondere. Da un lato, se pensiamo a un locale ben ventilato, ci balzano in mente immagini e sensazioni di porte e finestre spalancate, lampadari che oscillano e fogli che si agitano sotto i fermacarte, posizioni esposte o perfino panoramiche; dall’altro se pensiamo a una proposta che viene ventilata, le immagini e le sensazioni che ci arrivano sono di prova, anche timida, di discussione, ponderazione, valutazione. Come diavolo si mettono a sistema queste due accezioni? Forse che la proposta che viene ventilata giunge discreta come una brezzolina dalle finestre spalancate, o rinfrescata con metodica eleganza come faceva la prozia col suo ventaglio giapponese nelle giornate calde?
La biforcazione che cerchiamo è più a monte, in ambito rustico.
Il primo significato di ‘ventilare’ è per forza di cose meno in vista di quanto non fosse nei tempi andati: consisteva nel lanciare in aria i cerali con una pala, al vento. La parte del chicco, buona, ricade e viene recuperata, la parte leggera della pula e delle impurità se ne vola via. Il latino ventilare è un agitare nell’aria, un verbo per foglie, vele, monete soppesate con spavalderia; ma è anche un agitare più generico, da persona che si rigira nel letto, da arma mossa a vuoto, da assemblea tumultuosa; e naturalmente è un far aria, far vento, esporre all’aria.
Il nodo che lega l’aprire la finestra e l’avanzare una proposta sta proprio nell’esposizione all’aria: un’immagine diretta quando parla di un far circolare aria in un ambiente chiuso, che invece quando parla di un prospettare è mediata dal ventilare agricolo — un vero ‘vagliare’. Così come con la pala lanciamo in aria i chicchi di grano per pulirli, così palleggiamo figuratamente la proposta per levarne le impurità, anzi per vedere se qualcosa di buono alla fine c’è o è tutta pula da nulla.
Perciò, quando il partito ventila la possibilità di un’alleanza, quando ventilo l’idea che magari potremmo andare in vacanza a ottobre, quando ventilo qualche dubbio sulla soluzione al problema che non c’è collega che non approvi, quello che sto facendo è metaforicamente areare la possibilità, l’idea, il dubbio, perché passi al vaglio del vento di una ponderazione, di una discussione, di un’analisi, che ne valuti esattezza e opportunità. Oggi il procedimento della ventilazione dei cereali è ovviamente industrializzato, ma è l’ennesimo gesto della vita ancestrale che ci portiamo dietro come parola non per fare, ma per pensare.
Ci sono poi anche altri ventilari, tutti contigui — dopotutto lo stesso ventilare latino era abbastanza esteso, nei significati. È un muovere l’aria con le ali (ventilano i cigni sul lago e le creature sovrannaturali che scatenano una tempesta) è un insufflare aria medicalmente, un allargare al vento di fronde, velari. Ma sono senz’altro minori, in questo verbo figlio del ventus, che finisce per parlarci soprattutto non tanto del fare aria, ma dell’offrire noi, le nostre stanze, le nostre trovate a venti liberatori e rivelatori.