Divino
di-vì-no
Significato Di Dio o degli dei, che ha la natura, l’essenza della divinità, che partecipa della perfezione di Dio, ispirato o che procede da Dio; eccelso, sublime, straordinario; in letteratura, profetico, indovino
Etimologia voce dotta recuperata dal latino divinus (derivato di divus ‘dio’) letteralmente ‘proprio degli dei’ ma anche ‘straordinario, sublime, meraviglioso, prodigioso’.
Parola pubblicata il 20 Febbraio 2023
Leopardi spiega parole - con Andrea Maltoni
Giacomo Leopardi, oltre ad essere un grande poeta, ha osservato e commentato esplicitamente molte parole della nostra lingua. Andrea Maltoni, dottoressa in filologia, in questo ciclo ci racconterà parole facendolo intervenire.
Erano già trascorsi diversi secoli dall’avvento del Cristianesimo e dalla rivoluzione socio-culturale che ne era seguita quando l’italiano cominciò a prendere forma, distinguendosi dal latino e trovando via via la sua strada nel mondo. Se dunque ha mosso i suoi primi passi su un terreno intriso di cultura cristiana, è però in quello della classicità pagana che esso affonda le sue radici, suggendo nutrimento e amore materno.
Come retaggio di questo fenomeno di convergenza tra due mondi e due culture così diverse che caratterizza la nostra storia, troviamo ancora oggi evidenze in tradizioni, usanze e ovviamente nella lingua.
Un esempio interessante in questo senso è suggerito da Leopardi che, arguto sociolinguista, nello Zibaldone nota come un aggettivo quale divino, se fosse nato in epoca cristiana, non avrebbe mai potuto assumere il significato laico di “sublime, eccellente, straordinario” che invece ha sempre avuto e ha tutt’ora:
È infatti evidente che all’interno della cultura cristiana sarebbe stato perlomeno improbabile che l’aggettivo che propriamente significa “di Dio” potesse riferirsi disinvoltamente anche agli uomini, per esaltarne attributi e qualità.
Eventualità che nella cultura classica non suscita invece alcun tipo di sgomento: gli antichi ponevano infatti una distanza assai minore tra il divino e l’umano, tenendo in maggiore considerazione la sfera terrena.
L’aggettivo latino divinus deriva direttamente dal sostantivo divus (variante di deus) che significa “dio” e si riferisce alle varie divinità maschili appartenenti al pantheon romano. Divinus aveva dunque in primo luogo il significato “del dio; che riguarda la divinità; che proviene dalla divinità”. In secondo luogo però era anche slittato, per via iperbolica, a indicare qualcosa di eccelso, straordinario, incomparabile, che sì innalzava l’uomo verso l’alto ma che nulla aveva a che fare con il sacro: “divinus in dicendo” scrive ad esempio Cicerone riferendosi a un “meraviglioso oratore”.
Quando questa voce è passata dal latino all’italiano è riuscita, nonostante la cesura culturale che aveva trasformato il modo di concepire la divinità, a valicare i confini della cultura cristiana mantenendo stretti a sé in egual modo i due significati, sacro e profano.
È così che oggi possiamo sentir parlare di grazia divina, divina provvidenza, divino amore, e ugualmente imbatterci in dei divini riferiti a magnifici concerti, paesaggi mozzafiato, cibi di ottima qualità, senza che sia percepita alcuna frizione dall’eco blasfema.
In questo suo uso “laico” divino dice la straordinarietà, l’eccellenza, esprime una qualità altissima e lo fa con una certa eleganza, conferendo finezza al discorso.
Eccellenza determinata evidentemente da un “confronto con il cielo” che, se è espresso anche da altri sinonimi come paradisiaco, celestiale, eccelso, vediamo qui osare al massimo grado, puntando direttamente a chi del cielo è Sovrano.
Nel mondo pagano divinus era anche colui (o ciò) che era “ispirato dalla divinità” e dunque “profetico”, significato che si è mantenuto anche nel nostro divino (e nel verbo divinare che vale appunto “presagire il futuro”) pur rimanendo ristretto al linguaggio letterario:
Proprio con Dante chiudiamo questo viaggio tra le peripezie del divino, lui che non sapeva che la sua opera magna sarebbe un giorno stata nota a tutti come Divina Commedia. Fu infatti Boccaccio a darle questo attributo quando, trovandosi a elogiare l’opera del poeta, scelse di utilizzare l’unico aggettivo che poteva al contempo descrivere il contenuto dell’opera - un viaggio divino, perché verso Dio e da Dio ispirato - e il suo “contenitore”, cioè l’indicibile bellezza e sapienza poetica con cui esso era stato raccontato.