Amore

a-mó-re

Significato Affetto, attrazione, aspirazione, desiderio, attaccamento

Etimologia dal latino amor, da amare, ‘voler bene, amare con passione’, di origine indoeuropea.

  • «L'ha curato con grande amore.»

Il fatto di non riuscire bene ad afferrare il concetto di ‘amore’ al modo in cui afferriamo termini come ‘esiziale’, ‘bizantino’ o ‘angiporto’ non è affare nuovo. Che è l’amore? Un intenso sentimento di affetto, che però si dirama in specie molto diverse, anzi fra loro incompatibili. Usiamo sempre la stessa parola o quasi, cioè sempre lo stesso strumento, per definire tutta una tassonomia di affezioni sentimentali che è piena di paradossi.

L’amore è amore filiale, materno, paterno, coniugale, passionale, amore di Dio, per la matematica, per l’arte, per il giardinaggio, per un lavoro e per casa propria, senza contare che amici e amanti stanno tutti seduti qui — e che è un amore la persona della vita ed è un amore lo scarabocchio che il bambino ci porta in dono, o la cagnetta col fiocco. Non sono tutti la stessa cosa, per certo. E non c’è modo sensato di ridurre tutto questo a un’unità coerente a meno di risalire a una generalizzazione così ampia da perdere di significato, pare, quindi andiamo a bussare alla porta dell’etimo.

Beninteso, attenzione: le indagini su parole che hanno preso forma nell’età del rame di rado possono dirci come è che oggi dobbiamo intenderle. L’etimologia non fa questo, non ci racconta come dobbiamo usare una parola dopo tremila anni. Quello che può fare è riportarci a terra, mostrarci come un concetto è nato, darci in mano il bandolo di un groviglio che potremo forse intuire perché si è aggrovigliato.

La radice indoeuropea a cui dobbiamo risalire è un po’ complessa da rappresentare, perché nella sua ricostruzione include dei suoni laringali a metà fra vocali e consonanti che non sono passati nelle lingue indoeuropee sopravvissute fino ad oggi; senza troppe premure di correttezza potremmo approssimarla come un umu-, ma ci basti sapere che nel proto-italico, capostipite delle lingue italiche, si ricostruisce si sia manifestata come ama-.

Ora, questa radice ancestrale ha un significato vasto e sorprendente: ‘afferrare, prendere’. Tant’è che la varietà di significati che ha fatto germogliare nelle lingue della famiglia è formidabile. Il greco ómnymi significa ‘giurare’ — un’azione che, se ci pensiamo, è evidentemente un ‘prendere’ ideale, che sia prendere posizione, impegno, fede. Il sanscrito amisi è ‘afferrare’ e ‘giurare’, e la radice áma- indica la ‘forza’, che si esprime nel prendere e che ne è esempio. Anche in avestico (lingua iranica, famosa per essere la lingua dello zoroastrismo), la radice ama- indica la potenza, la forza d’attacco. Ebbene, l’esito latino che conduce all’amore quale affetto e passione appare del tutto particolare e isolato. Una meraviglia, eh? Ma come ci arriviamo? Come si scende da questa proda di forza e presa, e si arriva al nostro incoerente, incomprensibile amore?

Chi ha studiato la questione (come il professor Michiel De Vaan, che in queste faccende di etimologie antiche è uno dei grandi maestri di oggi) spiega che il peculiare significato latino di amare si è sviluppato a partire dal gesto di afferrare, prendere… la mano. E perciò considerare in amicizia.
Ma è buffo notare come già nell’esperienza latina l’amare e l’àmor riflettano una gamma di sentimenti ampia e variegata — dal voler bene al desiderare con passione al fare volentieri (di quando amo andare a passeggio o cucinare), ma perfino all’esser grato e allo stimare.

Non impelaghiamoci nei paradossi delle distinzioni dell’amore: accettiamo per vero il modo in cui lo usiamo, in tutti i suoi risvolti — quale altro parametro di verità potremmo mai avanzare? È tutto amore, ogni sua sfaccettatura che pure contrasta in modo assurdo con profondità, sostanza e direzioni delle altre. Ma questo possiamo dire, riguardo alla prima suggestione da cui scaturisce il concetto di ‘amore’, e che forse in qualche modo ancora ne descrive e ordina il groviglio. Amare è ‘tenere’, al modo in cui sono ‘tenere’ concetti come afferrare, attaccare, giurare. Insomma, è una grammatica solo apparentemente caotica, quella per cui l’amore abbraccia, l’amore regge, l’amore promette, e slancia, e attrae, e si attacca, e insiste.
Spesso, con retorica non falsa, si parla della potenza dell’amore: be’, potremmo considerarla una tautologia. L’amore è la potenza, quella che avvince — che una particolare poesia della gente di questi nostri lidi e colli, migliaia di anni fa, ha scelto di leggere tutta nella stretta del palmo nel palmo.

[Questa è l’etimologia più accreditata presso le fonti internazionali più sorvegliate; altre fonti autorevoli, italiane, optano per indicare una non specificata origine pre-indoeuropea, o una base nel linguaggio infantile, collegata a ‘mamma’. Siamo nel campo delle legittime ipotesi. Ma etimologie ricostruite da ipotetici antecedenti latini come a-mos, cioè ‘scostumato’, a-mors, cioè ‘senza morte’, o derivazioni dal verbo greco mainomai (spesso riportato in questi casi come mao) ‘esser pazzo, furioso, smaniare’ sono serenamente da escludere, e frutto della ricerca di una conferma riguardo a certe idee su che cosa sia l’amore.]

Parola pubblicata il 21 Agosto 2024