SignificatoQualcosa detto o fatto con ironia, ma anche relativo ad una persona che si esprime con ironia
Etimologia voce dotta recuperata dal latino ironicus, dal greco eironikós, derivato di eironeía, da éiron, ‘dissimulazione, finzione, falsa modestia’.
«It’s like rain on your wedding day… isn’t it ironic… don’t you think?» (‘È come la pioggia il giorno del tuo matrimonio…non trovi che sia ironico?’). Cantava così Alanis Morissette negli anni Novanta, elencando una serie di situazioni paradossali, sfortunate, in cui la vita sembra prendersi gioco di noi. E proprio il fatto che quasi nulla, in quella canzone, sia davvero ironico nel senso tecnico del termine, ci offre un ottimo punto di partenza: ‘ironico’ non è affatto una parola semplice, né intuitiva. È un aggettivo che ha ingannato generazioni di parlanti, e che ancora oggi porta con sé un’aura di ambiguità semantica.
Perché quando parliamo di qualcosa di ironico ci riferiamo in realtà a due fenomeni piuttosto distinti, che però nella pratica quotidiana si intrecciano fino a confondersi. Da un lato abbiamo l'ironia verbale – quel gioco retorico in cui diciamo una cosa intendendo qualcosa di diverso, spesso l’esatto opposto, indossando un sorriso malizioso agli angoli della bocca o inarcando le sopracciglia. Dall'altro lato, abbiamo l'ironia situazionale – quella beffarda coincidenza in cui la realtà si rivela paradossale, contraddittoria, quasi crudele.
Nella vita quotidiana, infatti, ironico può riferirsi tanto a ciò che viene detto quanto a chi lo dice. Una frase ironica suggerisce un secondo piano di senso, mentre una persona ironica è quella che costruisce questo secondo piano con naturalezza e sagacia. Pensiamo al collega che, di fronte all’ennesima mail urgente alle 18:59, mormora: «Che tempismo perfetto». O all’amico che, arrivato mezz’ora in ritardo all’appuntamento, esclama: «Sono meglio di un orologio svizzero». Definire una persona ironica, attenzione, non è però come definirla ‘divertente’, ‘simpatica’ o ‘allegra’. Questi aggettivi infatti spesso non compaiono nemmeno come sinonimi nei dizionari. Si trovano invece tra i sinonimi ‘beffardo’, burlesco, ‘canzonatorio’, ‘caustico’ e ‘sarcastico’. Eppure, qui entriamo in uno dei principali fraintendimenti comuni, che è la distinzione tra l'aggettivo ‘sarcastico’ e l'aggettivo ‘ironico’, spesso confusi ma lontani per natura e finalità. Il sarcasmo è affilato, frontale, pungente; è una critica tagliente, con una punta di violenza simbolica e il lampante intento di ferire. Essere ironici invece ci rende sofisticati, arguti, piacevoli, ma mai aggressivi nel senso pieno del termine.
Ma esiste anche quell’ironia che non abita le parole bensì le circostanze, e che nasce dal capriccioso senso dell'umorismo tipico dell’universo. Leopardi, nel suo pessimismo cosmico, sospettava già che il mondo amasse divertirsi alle nostre spalle. E in effetti c’è qualcosa di ironico – iperbolicamente ironico – nel vedere un ladro derubato, un istruttore di nuoto che affoga, un personal trainer con evidente pancetta, o una caserma dei pompieri che prende fuoco. È questa la forma di ironia che Alanis Morissette cercava di catturare – anche se, va detto, con risultati linguisticamente discutibili. La pioggia nel giorno del matrimonio è semplicemente sfortunata; diventa ironica se, poniamo, la sposa è una meteorologa che aveva assicurato sole cocente. Un ingorgo quando sei già in ritardo è frustrante; diventa ironico se sei l'assessore ai trasporti che ha appena inaugurato la nuova rotatoria ‘per eliminare il traffico’. Potremmo quasi dire che Alanis Morissette, consapevole o meno, ci ha regalato un perfetto esempio di meta-ironia: l'ironia di parlare di ironia senza capire cos'è l'ironia, che è, alla fine, tremendamente ironico. Don’t you think?
Per chiudere il cerchio, bisogna riconoscere che l’aggettivo ironico sta vivendo una certa inflazione semantica. Oggi tutto sembra ironico: i meme, i tweet, le magliette con slogan ambigui, i commenti sotto ai post nei social network (sì, anche quelli in risposta alle nostre parole del giorno. Vi leggiamo!). L’ironia è diventata una maschera per difendersi, un riflesso identitario – a volte elegante, a volte, come direbbero i più giovani, decisamente cringe. E forse anche questa riflessione ambisce a essere ironica. O forse lo è suo malgrado. A questo punto, però, lascio a voi il giudizio: l’ironia, per esistere, ha sempre bisogno di un interlocutore che la riconosca e che entri nel gioco. Altrimenti resta parola vuota, ampollosa, che non trova un orecchio pronto a coglierla. E nessuna ironia sopravvive in solitudine.
«It’s like rain on your wedding day… isn’t it ironic… don’t you think?» (‘È come la pioggia il giorno del tuo matrimonio…non trovi che sia ironico?’). Cantava così Alanis Morissette negli anni Novanta, elencando una serie di situazioni paradossali, sfortunate, in cui la vita sembra prendersi gioco di noi. E proprio il fatto che quasi nulla, in quella canzone, sia davvero ironico nel senso tecnico del termine, ci offre un ottimo punto di partenza: ‘ironico’ non è affatto una parola semplice, né intuitiva. È un aggettivo che ha ingannato generazioni di parlanti, e che ancora oggi porta con sé un’aura di ambiguità semantica.
Perché quando parliamo di qualcosa di ironico ci riferiamo in realtà a due fenomeni piuttosto distinti, che però nella pratica quotidiana si intrecciano fino a confondersi. Da un lato abbiamo l'ironia verbale – quel gioco retorico in cui diciamo una cosa intendendo qualcosa di diverso, spesso l’esatto opposto, indossando un sorriso malizioso agli angoli della bocca o inarcando le sopracciglia. Dall'altro lato, abbiamo l'ironia situazionale – quella beffarda coincidenza in cui la realtà si rivela paradossale, contraddittoria, quasi crudele.
Nella vita quotidiana, infatti, ironico può riferirsi tanto a ciò che viene detto quanto a chi lo dice. Una frase ironica suggerisce un secondo piano di senso, mentre una persona ironica è quella che costruisce questo secondo piano con naturalezza e sagacia. Pensiamo al collega che, di fronte all’ennesima mail urgente alle 18:59, mormora: «Che tempismo perfetto». O all’amico che, arrivato mezz’ora in ritardo all’appuntamento, esclama: «Sono meglio di un orologio svizzero». Definire una persona ironica, attenzione, non è però come definirla ‘divertente’, ‘simpatica’ o ‘allegra’. Questi aggettivi infatti spesso non compaiono nemmeno come sinonimi nei dizionari. Si trovano invece tra i sinonimi ‘beffardo’, burlesco, ‘canzonatorio’, ‘caustico’ e ‘sarcastico’. Eppure, qui entriamo in uno dei principali fraintendimenti comuni, che è la distinzione tra l'aggettivo ‘sarcastico’ e l'aggettivo ‘ironico’, spesso confusi ma lontani per natura e finalità. Il sarcasmo è affilato, frontale, pungente; è una critica tagliente, con una punta di violenza simbolica e il lampante intento di ferire. Essere ironici invece ci rende sofisticati, arguti, piacevoli, ma mai aggressivi nel senso pieno del termine.
Ma esiste anche quell’ironia che non abita le parole bensì le circostanze, e che nasce dal capriccioso senso dell'umorismo tipico dell’universo. Leopardi, nel suo pessimismo cosmico, sospettava già che il mondo amasse divertirsi alle nostre spalle. E in effetti c’è qualcosa di ironico – iperbolicamente ironico – nel vedere un ladro derubato, un istruttore di nuoto che affoga, un personal trainer con evidente pancetta, o una caserma dei pompieri che prende fuoco. È questa la forma di ironia che Alanis Morissette cercava di catturare – anche se, va detto, con risultati linguisticamente discutibili. La pioggia nel giorno del matrimonio è semplicemente sfortunata; diventa ironica se, poniamo, la sposa è una meteorologa che aveva assicurato sole cocente. Un ingorgo quando sei già in ritardo è frustrante; diventa ironico se sei l'assessore ai trasporti che ha appena inaugurato la nuova rotatoria ‘per eliminare il traffico’. Potremmo quasi dire che Alanis Morissette, consapevole o meno, ci ha regalato un perfetto esempio di meta-ironia: l'ironia di parlare di ironia senza capire cos'è l'ironia, che è, alla fine, tremendamente ironico. Don’t you think?
Per chiudere il cerchio, bisogna riconoscere che l’aggettivo ironico sta vivendo una certa inflazione semantica. Oggi tutto sembra ironico: i meme, i tweet, le magliette con slogan ambigui, i commenti sotto ai post nei social network (sì, anche quelli in risposta alle nostre parole del giorno. Vi leggiamo!). L’ironia è diventata una maschera per difendersi, un riflesso identitario – a volte elegante, a volte, come direbbero i più giovani, decisamente cringe. E forse anche questa riflessione ambisce a essere ironica. O forse lo è suo malgrado. A questo punto, però, lascio a voi il giudizio: l’ironia, per esistere, ha sempre bisogno di un interlocutore che la riconosca e che entri nel gioco. Altrimenti resta parola vuota, ampollosa, che non trova un orecchio pronto a coglierla. E nessuna ironia sopravvive in solitudine.