Leone

le-ó-ne

Significato Nome comune della specie Panthera leo, della famiglia dei felidi

Etimologia dal latino leo, leōnis, a sua volta dal greco léōn, léontos, prestito da una lingua imprecisata del Vicino Oriente.

Pochi animali possono rivaleggiare con questo superpredatore, che arriva a pesare più di due quintali e che, per potenza di morso, è pari allo squalo bianco.

Maestoso, forte e senza paura, è da secoli l’emblema prediletto dei potenti, come il famoso re d’Inghilterra Riccardo “Cuor di leone”. Non per nulla il detto “meglio un giorno da leoni che cent’anni da pecora” era tra i preferiti di Mussolini, anche se non fu una sua invenzione perché circolava sin dal Risorgimento.

A dirla tutta, già una favola di Esopo usava l’esempio del leone per suggerire che la qualità contasse più della quantità: pare che la volpe, orgogliosa della sua prole, schernisse la leonessa perché era capace di fare un solo figlio per volta. “Uno solo, ma leone” fu la nobile risposta, divenuta proverbiale.

Tuttavia il leone porta con sé anche una connotazione di superbia e prepotenza. Da qui l’espressione “fare la parte del leone”, ossia ottenere più degli altri nella spartizione di qualcosa. Esopo racconta infatti il leone e l’asino selvatico si accordarono un dì per cacciare insieme e, una volta catturata la preda, il leone la spartì equamente come segue: “Una parte a me in quanto membro della nostra società; una parte a me in quanto re degli animali; e una parte a me perché se non vuoi essere mangiato anche tu ti conviene star zitto.”

In breve il leone è il simbolo per eccellenza della forza che, però, può esercitarsi in senso positivo o negativo. Anche per questo è spesso associato al fuoco (al punto che, fondendosi con il sostantivo “sole”, ha dato origine al curioso soprannome del sole d’agosto, il solleone). Ne nascono bizzarre contraddizioni: i Romani scrivevano sulle mappe hic sunt leones (qui ci sono i leoni) in corrispondenza di zone ignote e pericolose; eppure si trovano spesso, accanto a portoni e cancelli, coppie di leoni nel ruolo di benevoli guardiani.

Talora poi l’immagine del leone è usata anche in modo ironico, come nel titolo del film Una notte da leoni, che allude all’illusorio senso di invincibilità dato dall’alcool. L’espressione “giovani leoni” invece compare nel titolo di un film un po’ più datato, tratto da un romanzo di Irwin Shaw, ed è entrata nella nostra lingua per descrivere giovanotti ricchi, arroganti e ambiziosi.

È forse ancor più ironico, però, il fatto che il leone abbia dato il nome a due animali che di eroico hanno ben poco: l’otaria, altrimenti detta “leone marino”, e il camaleonte, dal greco khamaí, “per terra”, e léōntos, “leone”. Il trait d’union sta probabilmente nella criniera, anche se nel caso del camaleonte è più che altro una crestina.

Proprio la criniera infatti è la caratteristica distintiva del leone, tanto che definiamo “leonina” una capigliatura folta e selvaggia. Ma, a pensarci bene, a che gli serve? La risposta tradizionale è che difende il collo dagli attacchi degli altri maschi, ma è una difesa molto relativa. Una teoria più solida si fonda invece sulla selezione sessuale: una criniera folta comunica alle femmine che il leone è in buona salute, soprattutto se è scura perché trattiene più calore e quindi richiede una resistenza fisica maggiore.

Per dirla in termini strettamente scientifici, dunque, le leonesse trovano più fighi i leoni con una bella criniera. Il che, in effetti, è comprensibile.

Parola pubblicata il 24 Ottobre 2022

Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti

Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.