Provvidenza

prov-vi-dèn-za

Significato Nella religione cristiana, ordine con cui Dio regge il creato, e assistenza benevola che dà alle sue creature; evento che risolve inaspettatamente una soluzione difficile

Etimologia voce dotta recuperata dal latino providèntia, da pròvidens, participio presente di providere ‘prevedere, prendere precauzioni’.

In origine non ci doveva essere questa grande differenza, fra provvidenza e previdenza. Addirittura la dea Providentia, nel particolare pantheon che avrebbe finito per costituire il culto imperiale romano, presiedeva la capacità di prevedere il futuro — più affine a una personificazione alla virtù del prevedere le cose (pratico, non oracolare) che a una divinità di quelle che si muovono nel mito. Seguendo la continuità che c’è fra il vedere da lontano e il predisporre, fra il presentire e il prendere precauzioni, il concetto cambia profondamente, specie col cristianesimo, e in una maniera che lascia poco spazio ad altri usi del termine ‘provvidenza’ (peraltro coperti agevolmente da sinonimi).

La provvidenza è a un tempo l’ordine e il soccorso che Dio impartisce a creazione e creature. Tranne che in certi usi antiquati o letterari, non è più avvedutezza, saggia capacità di tenere in considerazione necessità future; è quel tipo di sovrintendenza che opera un piano superiore, e che dà benevola assistenza. Può scendere di un nonnulla nel provvidenziale, che nella lingua si è fatto più fraseologico che teologico, ma il campo in cui si muove resta questo — anche quando la provvidenza si associa alla fortuna, facendosi evento inatteso che risolve la situazione difficile. L’uso con la P maiuscola è tutt’altro che raro.

Curiosamente, questo la distanzia perfino dal provvedere: senz’altro il provvedere è parte della provvidenza, ma non la esaurisce, e può essere estremamente più prosaico, quotidiano: il modo in cui provvediamo ai nostri bisogni, in cui provvediamo noi a sistemare un problema, anche se non è tanto un ‘prevedere’ quanto un ‘adoperarsi’ fattivo, ha a che fare solo lateralmente con la provvidenza.


«La c’è la Provvidenza!» disse Renzo; e, cacciata subito la mano in tasca, la votò di que’ pochi soldi; li mise nella mano che si trovò più vicina, e riprese la sua strada. […] Certo, dall’essersi così spogliato degli ultimi danari gli era venuto più di confidenza per l’avvenire, che non gliene avrebbe dato il trovarne dieci volte tanti. Perché, se a sostenere in quel giorno que’ poverini che mancavano sulla strada, la Provvidenza aveva tenuti in serbo proprio gli ultimi quattrini d’un estraneo, fuggitivo, incerto anche lui del come vivrebbe; chi poteva credere che volesse poi lasciare in secco colui del quale s’era servita a ciò, e a cui aveva dato un sentimento così vivo di sé stessa, così efficace, così risoluto? Questo era, a un di presso, il pensiero del giovine […].

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Capitolo XVII

La cosa strana del “romanzo della Provvidenza”, come l’ha definito Sapegno, è che di Provvidenza Manzoni non parla mai direttamente. Ne parlano i suoi personaggi, spesso in modo discutibile. Per don Abbondio ad esempio è una “scopa”, che sistema le cose nel modo a lui più congeniale; il che – considerando quanta gente è morta nel mentre – dà un certo ribrezzo.

Anche il finale è abbastanza ambiguo: per i due sposi finisce bene, sì, ma per gli altri? I morti di fame e di peste, gli innocenti giustiziati come untori… Delle due l’una: o la Provvidenza fa preferenze in modo imbarazzante, oppure grazie e disgrazie succedono per caso e dunque non vogliono dir nulla.

O magari c’è una terza via. E forse il silenzio stesso del narratore è un invito a prendere la questione più di sguincio. Perché, via, siamo sinceri: a momenti abbiamo difficoltà a intenderci con Google maps, figuriamoci quel che possiamo sapere di un Navigatore dalle vie infinite e misteriose. Al massimo ti può capitare, intanto che vai, di adocchiare un cartello promettente, che ti fa pensare di essere sulla strada giusta.

È ciò che succede a Renzo, quando cede i suoi ultimi soldi ai mendicanti. Non ha ben chiaro dove la sua vita stia andando; senz’altro non dove lui avrebbe voluto. Ma a un certo punto coglie qualcosa: un lampo negli occhi di chi ha aiutato, un nuovo calore dentro di lui. Non sono i termini di una dimostrazione matematica; sono simboli, indizi, metafore.

Da lì si sprigiona la sensazione, potente quanto ineffabile, che la vita abbia un significato, ossia una direzione, e che Qualcuno ne accompagni ogni passo. In quell’attimo Renzo sente di essere al posto giusto: sente che le sue azioni hanno valore, che il dolore non è vano, che il caos del mondo nasconde un ordine, che ogni istante racchiude una potenzialità di bene. E che nessuno sulla terra è – mai – solo.

Questo significa, per Manzoni, credere veramente nella Provvidenza. È fidarsi della vita, al punto da credere che la morte stessa sia una passeggera illusione: una maschera del lieto fine che, di là, attende tutti, comunque siano andate le cose di qua.

Ne deriva una forma di amor fati che incoraggia l’azione dove è possibile e abbraccia ciò che non può essere cambiato. Così anche una strada non desiderata, come quella che Renzo si ritrova a percorrere, può assumere “tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione” (cap. X).

Parola pubblicata il 26 Maggio 2023

Alessandro Manzoni, le parole - con Lucia Masetti

Il 22 maggio 2023 ricorrono i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, celeberrimo, odiosamato gigante della nostra letteratura. L’impatto della sua opera sulla lingua italiana ha un rilievo con pochi paragoni: lo raccontiamo in sette parole — un dizionario minimo manzoniano, un piccolo safari nei 'Promessi sposi'.