Provvidenza
prov-vi-dèn-za
Significato Nella religione cristiana, ordine con cui Dio regge il creato, e assistenza benevola che dà alle sue creature; evento che risolve inaspettatamente una soluzione difficile
Etimologia voce dotta recuperata dal latino providèntia, da pròvidens, participio presente di providere ‘prevedere, prendere precauzioni’.
- «Ci penserà la provvidenza.»
Parola pubblicata il 26 Maggio 2023
Alessandro Manzoni, le parole - con Lucia Masetti
Il 22 maggio 2023 ricorrono i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, celeberrimo, odiosamato gigante della nostra letteratura. L’impatto della sua opera sulla lingua italiana ha un rilievo con pochi paragoni: lo raccontiamo in sette parole — un dizionario minimo manzoniano, un piccolo safari nei 'Promessi sposi'.
In origine non ci doveva essere questa grande differenza, fra provvidenza e previdenza. Addirittura la dea Providentia, nel particolare pantheon che avrebbe finito per costituire il culto imperiale romano, presiedeva la capacità di prevedere il futuro — più affine a una personificazione alla virtù del prevedere le cose (pratico, non oracolare) che a una divinità di quelle che si muovono nel mito. Seguendo la continuità che c’è fra il vedere da lontano e il predisporre, fra il presentire e il prendere precauzioni, il concetto cambia profondamente, specie col cristianesimo, e in una maniera che lascia poco spazio ad altri usi del termine ‘provvidenza’ (peraltro coperti agevolmente da sinonimi).
La provvidenza è a un tempo l’ordine e il soccorso che Dio impartisce a creazione e creature. Tranne che in certi usi antiquati o letterari, non è più avvedutezza, saggia capacità di tenere in considerazione necessità future; è quel tipo di sovrintendenza che opera un piano superiore, e che dà benevola assistenza. Può scendere di un nonnulla nel provvidenziale, che nella lingua si è fatto più fraseologico che teologico, ma il campo in cui si muove resta questo — anche quando la provvidenza si associa alla fortuna, facendosi evento inatteso che risolve la situazione difficile. L’uso con la P maiuscola è tutt’altro che raro.
Curiosamente, questo la distanzia perfino dal provvedere: senz’altro il provvedere è parte della provvidenza, ma non la esaurisce, e può essere estremamente più prosaico, quotidiano: il modo in cui provvediamo ai nostri bisogni, in cui provvediamo noi a sistemare un problema, anche se non è tanto un ‘prevedere’ quanto un ‘adoperarsi’ fattivo, ha a che fare solo lateralmente con la provvidenza.
La cosa strana del “romanzo della Provvidenza”, come l’ha definito Sapegno, è che di Provvidenza Manzoni non parla mai direttamente. Ne parlano i suoi personaggi, spesso in modo discutibile. Per don Abbondio ad esempio è una “scopa”, che sistema le cose nel modo a lui più congeniale; il che – considerando quanta gente è morta nel mentre – dà un certo ribrezzo.
Anche il finale è abbastanza ambiguo: per i due sposi finisce bene, sì, ma per gli altri? I morti di fame e di peste, gli innocenti giustiziati come untori… Delle due l’una: o la Provvidenza fa preferenze in modo imbarazzante, oppure grazie e disgrazie succedono per caso e dunque non vogliono dir nulla.
O magari c’è una terza via. E forse il silenzio stesso del narratore è un invito a prendere la questione più di sguincio. Perché, via, siamo sinceri: a momenti abbiamo difficoltà a intenderci con Google maps, figuriamoci quel che possiamo sapere di un Navigatore dalle vie infinite e misteriose. Al massimo ti può capitare, intanto che vai, di adocchiare un cartello promettente, che ti fa pensare di essere sulla strada giusta.
È ciò che succede a Renzo, quando cede i suoi ultimi soldi ai mendicanti. Non ha ben chiaro dove la sua vita stia andando; senz’altro non dove lui avrebbe voluto. Ma a un certo punto coglie qualcosa: un lampo negli occhi di chi ha aiutato, un nuovo calore dentro di lui. Non sono i termini di una dimostrazione matematica; sono simboli, indizi, metafore.
Da lì si sprigiona la sensazione, potente quanto ineffabile, che la vita abbia un significato, ossia una direzione, e che Qualcuno ne accompagni ogni passo. In quell’attimo Renzo sente di essere al posto giusto: sente che le sue azioni hanno valore, che il dolore non è vano, che il caos del mondo nasconde un ordine, che ogni istante racchiude una potenzialità di bene. E che nessuno sulla terra è – mai – solo.
Questo significa, per Manzoni, credere veramente nella Provvidenza. È fidarsi della vita, al punto da credere che la morte stessa sia una passeggera illusione: una maschera del lieto fine che, di là, attende tutti, comunque siano andate le cose di qua.
Ne deriva una forma di amor fati che incoraggia l’azione dove è possibile e abbraccia ciò che non può essere cambiato. Così anche una strada non desiderata, come quella che Renzo si ritrova a percorrere, può assumere “tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione” (cap. X).