Accipicchia

ac-ci-pìc-chia

Significato Accidenti, esclamazione di contrarietà o stupore

Etimologia alterazione eufemistica di accidenti.

Siamo abituati a sorridere beffardi vedendo ciò che l’eufemismo prova a coprire — quali indecenze, quali profanità. E quindi abbiamo anche un certo occhio per cogliere i riferimenti velati dai richiami a divinità pagane e ortaggi, gli spropositi che una sterzata improvvisa volge in innocuo nonsenso. Ma davanti all’accipicchia restiamo increduli: cotanta raffinata correzione d’eufemismo per non dire… accidenti?

La questione dev’esser seria, perché c’è un’intera squadra eletta di eufemismi analoghi schierata a schermo di questa interiezione: accanto all’accipicchia torreggiano l’accidempoli (che si ripara col nome della città di Empoli), l’acciderba, che opta per una gonna vegetale, spingendosi finanche all’acciderbolina. C’è perfino un accidentaccioche, ingrossandolo ed esagerandolo, tenta di smussare l’accidenti.

Per noi l’esclamazione ‘accidenti’ non ha niente che non vada. Esprime rabbia, esprime fastidio, forse in genere contrarietà: accidenti, ma non guardi dove vai?; il sudore mi finisce sugli occhi, accidenti; e accidenti, mi sono sporcato la camicia. Ma può anche esprimere meraviglia, stupore: accidenti, non ci avevo mai pensato; e accidenti, di qui si vede tutta la valle. Non lo fa in una maniera che ci pare disdicevole. Non la giudichiamo un’interiezione che spicca per eleganza, o accettabile fuori da un uso meno formale, ma nemmeno diremmo che chi esclama ‘accidenti’ è scivolato nella volgarità — non ci verrebbe in mente di alterarla in eufemismo. Ebbene, i tempi cambiano.

Tommaseo, nel suo celebre dizionario della seconda metà dell’Ottocento, descriveva ‘accidenti’ come una imprecazione, e anco interiezione volgarissima per esprimere o per affettare maraviglia. L’esclamazione ‘accidenti’ iniziava a trovarsi nella lingua nazionale proprio in quegli anni, e la percezione che se ne aveva era con tutta evidenza di crudezza smaccata, figlia di una vicinanza vivida coi suoi significati ampi e generici che evocano eventi infausti — tanto da richiedere, nel parlare composto, un eufemismo.

Forse oggi proprio la progressiva desuetudine di ‘accidente’ e ‘accidenti’, voci che si arroccano in usi circoscritti, specialistici o colloquiali che siano, ce l’ammorbidiscono: l’età può addolcire un viso spigoloso. Ma ci restano in eredità i suoi eufemismi sviluppati in larga parte all’inizio del Novecento, che trovano nell’accipicchia il campione più gagliardo. Senza esagerazioni caricaturali (Empoli e l’erbolina stanno bene dove stanno), funziona in quanto sostituisce l’aggressività paraetimologica dei denti con un altrettanto vigoroso e scontornato ‘picchiare’, che rende concreto e vivido il sentimento di contrarietà o stupore, seppur moderato e astratto dallo scarto eufemistico. Così di cuore diremo «Accipicchia, le zanzare ti hanno divorato», «Accipicchia, non ci voleva», «Accipicchia che bel regalo!» e via e via fra esclamazioni compassate.

Per antiche ruvidità che si sono consumate, l’invenzione di una delicatezza che si è conservata tale. Accipicchia che bella.

Parola pubblicata il 29 Agosto 2020