Ammenda
am-mèn-da
Significato Pena pecuniaria comminata per una contravvenzione; riconoscimento e riparazione di un errore, di una colpa
Etimologia da ammendare, dal latino emendare ‘correggere’, con cambio di prefisso, e questo da menda ‘difetto, errore’, con prefisso ex-.
- «Hai ragione, non sono venuto, ma saprò fare ammenda.»
Parola pubblicata il 08 Gennaio 2024
‘Ammenda’ è una di quelle parole un po’ elevate con cui chiunque in vita sua, volente o nolente, ha a che fare. Questo perché fa parte di una porzione particolarmente interessante del lessico amministrativo e giuridico — quella che riguarda le pene. Ma ecco, è un tipo di esposizione che da un punto di vista linguistico non è molto fertile, anzi può confondere le idee, e magari collocare il concetto in una dimensione più distante di quanto non sia in realtà.
Si vede che l’ammenda è zia del rammendo? Infatti l’ammendare da cui deriva (siamo nel Duecento) dà vita anche al rammendare — un verbo che, a dispetto di un ambito d’uso completamente diverso (la piccola sartoria domestica che ripara buchi di magliette calzini pantaloni), insiste precisamente sullo stesso concetto. Tutto nasce, molto pianamente, da un cambio di prefisso del classico emendare, ‘correggere’, che è un derivato di menda, cioè ‘difetto’, col prefisso ex-: dal difetto trae fuori.
L’ammenda quindi ha la natura di una riparazione. Quando parliamo, in un’espressione ormai cristallizzata, di ‘fare ammenda’, dipingiamo la correzione di un errore, la pulizia di una macchia, la risoluzione di una magagna. C’è un riconoscimento molto profondo e consapevole del modo in cui si è in difetto, ma c’è anche una componente fattiva di risarcimento. Il quadro è significativo, partecipe, presente: per ammenda ti prometto che tutte le prossime volte mi incaricherò io del compito, voi aspettate da parte nostra l’ammenda per una scortesia, e riconoscendo l’errore mi mostro disposto a qualunque ammenda sia opportuna.
Qui, in questa situazione così vibrante, s’installa la declinazione giuridica, con la sua sbavatura.
L’ammenda è una pena pecuniaria comminata per una contravvenzione. Il giusto concetto di ‘contravvenzione’ spesso sfugge, ma è banale: è omogeneo a quello di ‘delitto’, sono due categorie di reato. A cercare una certa precisione (tecnica o pedante), la contravvenzione è un atto: non è il vigile a farmi una contravvenzione, né la pago. Pago l’ammenda, l’ammenda è la pena. Ma il problema — che sembra un salto da nulla e invece è un crepaccio senza fondo — è la sovrapposizione fra pena e riparazione.
Il buco rimane, senza rammendo — senza che sia fatta ammenda. Ma questa sovrapposizione non è un abuso recente, è praticamente genetica, e la troviamo da sempre nel concetto di ‘ammenda’. C’è un diaframma impenetrabile fra mondo esterno e mondo interno; se la spinta all’ammenda non nasce intimamente, non c’è espiazione imposta che possa percolare da fuori a dentro e compiere un mutamento di coscienza. Inoltre, ciò che l’ammenda prevede non ha praticamente mai nulla a che fare con una riparazione, è un’inflizione di sofferenza che si limita a retribuire facilmente il male col male. Ma pare sia assolutamente necessario fingere il contrario, e che quindi la pena possa essere una riparazione. C’è una grande saggezza, nelle mani che riparano i calzini bucati.