Archiviare
ar-chi-vià-re (io ar-chì-vio)
Significato Registrare, collocare in un archivio; abbandonare, tralasciare
Etimologia da archivio, voce dotta recuperata dal latino tardo archivium, prestito dal greco arkheîon ‘archivio pubblico’, ma propriamente ‘sede dei magistrati’, derivato di arkhé ‘principio, comando’.
- «Non so, dovrei controllare in archivio.»
Parola pubblicata il 02 Dicembre 2023
Le parole di potere possono democratizzarsi in azioni che di potente non hanno praticamente più nulla — a eccezione del magico potere del riordino e dell’organizzazione pratica. Ma la loro antica forza, la loro brace di dominio, col naso giusto si può annusare ancora.
Solitamente archivio conversazioni sull’applicazione di messaggistica, archivio email. Non che sia molto impegnativo o anche solo significativo farlo, il programma mi offre una semplice funzione per togliermi di mezzo dei documenti in modo che siano comunque facilmente recuperabili. Al di fuori della nostra esperienza spicciola, il concetto di ‘archivio’ però è cardinale, e per comprenderlo appieno dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, in un luogo che qui frequentiamo tanto, tanto spesso. Ormai entrando nella nostra kapeleîon preferita potremmo chiedere ‘il solito’.
Forse c’è chi ricorda da una pagina di sussidiario che i magistrati più importanti che c’erano nell’antica Atene — dalla notte mitica della storiografia fino al suo apogeo, e poi avanti ancora per lungo tempo — erano chiamati ‘arconti’. Ebbene, l’archivio è un termine cugino dell’arconte. Se ad Atene avessimo chiesto dell’arkheîon, ci avrebbero instradato verso l’archivio pubblico, ma propriamente questo nome indicava la sede dei magistrati, il palazzo degli arconti, ed è un derivato di arkhé ‘comando’ (letteralmente ‘inizio, origine’ — en passant notiamo come sia un crinale di significato estremamente interessante, quello che unisce il ‘principio’ e il ‘potere’). L’arkhé è un nome tratto dal verbo árkho ‘comandare, iniziare’, il cui participio presente è proprio árkhon, nome dell’arconte.
L’archivio, quindi, è una sede del potere, e questa sede del potere non si distingue tanto per la presenza di troni, assemblee, per il potere che vi si esprime materialmente con eventi presenti, ma per una peculiarissima specie di potere quiescente che qui dorme. Il potere che abita l’agorà ma anche il palazzo sa bene di fondarsi su una conservazione di documenti. Senza documenti non c’è storia, senza storia non c’è potere stabilmente basato.
Questa nota di potere dell’archivio si percepisce non solo quando entriamo negli antichi archivi in cui si conservano delibere e attestazioni che danno continuità all’esperienza collettiva di una comunità. Si percepisce in maniera pericolosa e trasparente quando parliamo del politico che ha fama d’essere un’eminenza grigia, ed è dotato di un archivio che fa parlare e tacere al solo essere rammentato. Si percepisce in maniera meno inquietante (forse...) quando davanti a un’incertezza di diritto dobbiamo accedere ad archivi dei più svariati — dagli archivi catastali a quelli notarili.
Ma possiamo considerare il potere dell’archivio nel senso più ampio del termine, in una dimensione di esercizio autorevole, non autoritario. Ad esempio anche il sapere (che è potere proverbialmente) abita palazzi di paradigmi con fondamenta d’archivio — il metodo scientifico si sviluppa sulla memoria degli archivi. Senza contare la semplicità con cui possiamo frequentare il potere sconfinato archiviato nelle biblioteche.
L’archiviare conserva quindi questa duplice linea d’azione: da un lato sgombera via via dallo svolgimento degli affari correnti una batteria di documenti che nel momento presente non servono più, dall’altro la salva, perché nell’avvicendarsi affaccendato dei giorni verrebbe dispersa, e la ordina in maniera non solo da conservarla, ma da conservarla facilmente accessibile — con motivazioni che dapprima sono un ‘non si sa mai’, e poi finiscono inevitabilmente per essere d’interesse storico. Tanto che in effetti noi, quando consideriamo una questione come archiviata, la sentiamo come abbandonata. Se la vecchia offesa è stata archiviata, non ci restiamo più attaccati, la tralasciamo, anche se (appunto) non la dimentichiamo.
Magari le nostre chat un interesse storico non lo avranno mai, però l’idea di essere in prima persona soggetti produttori di archivi ci lusinga. Ed è davvero strabiliante conservare in questa parola, in evidenza così ben nascosta, i riferimenti ai primi, prestigiosi poteri strutturati d’Occidente — e una descrizione essenziale di come le sale del potere non rimbombano solo di sentenze e dichiarazioni tonitruanti, ma anche di frusci di scartafacci. Anzi perfino del loro silenzio.