Arronzare
ar-ron-zà-re (io ar-rón-zo)
Significato Lavorare male e di fretta; in marina, urtare, strusciare, speronare; rimproverare aspramente; come intransitivo pronominale, arrabattarsi, darsi da fare
Etimologia da ronzare, di origine onomatopeica, col prefisso a-.
- «Non arronzare, mettici l'attenzione che serve.»
- «Si arronza così tanto che alla fine ne verrà a capo.»
Parola pubblicata il 18 Luglio 2025
Parole formidabili, quelle che con diverse anime, con diversi significati, finiscono per accedere a una versatilità totale; paiono scritte sull’acqua, più che nero su bianco, e di rado, quando le troviamo usate, ci richiedono di andare a cercare che cosa vogliono dire: sono molto eloquenti. Sono spesso parole regionali e gergali, tanto da fare il giro e diventare, per la lingua comune, cultismi.
Dobbiamo distinguere l’arronzare (transitivo) e l’arronzarsi (intransitivo pronominale), perché prendono pieghe diverse.
Nel primo caso siamo innanzitutto davanti a un lavorare male e di fretta (significato che sappiamo essere importante da cogliere), e volentieri l’uso è assoluto: posso dire che stavolta ho proprio arronzato, anche se il risultato è passabile, o che non richiamerò quell’imbianchino o quell’avvocato perché secondo me arronza, o che alla fine abbiamo arronzato una soluzione. Notiamo peraltro l’affinità con l’arrangiare, che però è casuale: l’arrangiare è della famiglia del rango, e ci parla di un ‘mettere in fila, mettere insieme’, mentre l’arronzare, derivato di ronzare, è sfacciatamente onomatopeico — rumoroso, vagabondo, combina poco, anche se il prefisso a- lo applica.
Nel gergo della marina questo modo di fare sciatto si specifica sull’urto maldestro; diventa uno strusciare per una manovra errata, uno speronare per sbaglio: al molo una barca ne arronza un’altra ormeggiata, e appena mi ritrovo al timone arronzo malamente. L’urto di malo modo diventa anche, per bella conseguenza, il rimprovero aspro: la superiore mi arronza per una dimenticanza, e mi becco un’arronzata davanti a tutti.
L’arronzarsi invece parla di un darsi daffare, di un arrabattarsi, di un affaccendarsi con fatica. Il vicino di casa si arronza giorno e notte con vari lavori, dopo il trasferimento mi arronzo come posso per ricostruirmi la quotidianità, e l’amica nel suo campo è ancora all’inizio ma si arronza con determinazione.
Ora, non che si sia su un altro pianeta, rispetto al lavorare male e di fretta: l’idea che accosta l’arrabattarsi col lavorare male non è peregrina, la continuità si segue. Ma i concetti sono diversi.
Non è una parola aulica: corre nelle famiglie, corre localmente, corre in gerghi condivisi. E questa è una grande opportunità: non è una parola letteraria, e quindi tende ad avere una natura carsica, a emergere solo saltuariamente nello scritto. Ma quando lo fa, può risultare familiare — e di sicuro, per gli ambiti in cui è stata cotta, risulta accessibile, chiara, anche se non è nota. È strano notare che non tutte le parole parlano da sé; quando succede lo possiamo apprezzare in modo particolare.