Cultismo

cul-tì-smo

Significato Parola o espressione del linguaggio colto; culteranesimo

Etimologia da culto, variante di colto, derivato dal latino cultus, participio passato di colère ‘coltivare’.

  • «È una che dice 'stamane', 'sovente', 'financo', e in generale esagera coi cultismi. Cerca di mantenere un tono o non ti ascolterà nemmeno.»

Oggi non parleremo tanto di Chtulu e di culti blasfemi, di negromanzia, di sette criminali o di culti personali carismatici. Infatti anche se il termine ‘cultismo’, per una serie articolata di influenze, si è aperto a indicare in dimensioni più o meno fantastiche la pratica di un’adorazione scervellata e tenebrosa, o addirittura maligna, il nostro cultismo tradizionale non si riferisce al culto in quanto espressione di devozione, ma al cólto, nel senso di dotto.

Si tratta di una parola piuttosto sfumata: ha alcuni significati molto precisi, altri più generici, che si alternano con qualche sfocatura. Dopotutto, non siamo davanti a una storia lunga e sedimentata — è una parola che in questa veste non ha cent’anni.

Possiamo dire che il cultismo è innanzitutto la voce dotta, nel senso più stretto e tecnico. Si tratta cioè di una parola di origine classica che non ha attraversato il medioevo di bocca in bocca: la sua tradizione orale si è interrotta, ed è stata recuperata all’italiano, a un certo punto, attraverso la lingua scritta — dal latino o dal greco. Insomma, è un vero e proprio prestito linguistico, un termine che non è stato usurato dall’uso e che così si conserva molto vicino all’originale classico.

Non di rado i cultismi di questo genere si stagliano sulle varianti sorelle di estrazione popolare: non è la prima volta che incontriamo coppie allotrope di parole, una popolare una dotta (piazza/platea, foia/furia, coppia/copula). Ad esempio l’amico sussiegoso amante dei cultismi può parlarci della squisitezza del ministero di falegname (invece che del mestiere di falegname).
Va notato subito che, nonostante vagonate di voci dotte si siano del tutto normalizzate e risultino indistinguibili da quelle popolari per chi non abbia un occhio clinico, non di rado conservano una certa aura di sapere alto.

Anzi, spesso per cultismo s’intende in maniera estesa la parola di gusto letterario, appartenente al linguaggio colto — insomma il parolone raro, elitario. Può certo essere pescato nei bacini delle lingue classiche, può avere manto poetico o camice tecnico, può avere il profilo di un arcaismo, il passo snob del preziosismo, ma anche l’elitarismo di una parola straniera o perfino dialettale distante dall’uso consueto. Facciamo qualche esempio?

Rimembri quando, assiso al desco opimo di un suo sodale, il barba poté delibare nettari di novero eccelso in frali renani, e mercè sua amistà ne sorbì gran copia, talché senza fraude ne ebbe in strenna una borgognotta, ma a cagione del nettare istesso ambulando scozzava, e la borgognotta si franse, e all’alma frigida non superfù che plorare sull’irremeabile arrière-goût?*

Richiede in pratica una parafrasi, no? E anche laddove il ricorso a cultismi sia più episodico, resta questa la cifra del cultismo: non cerca apertura, comunicazione terragna. Antepone la precisione ideale, la ricercatezza estetica, perfino il gusto per l’ostico, per la bellezza involuta. Tant’è che ‘cultismo’ indica anche una corrente letteraria spagnola del Seicento (più univocamente nota come culteranismo, dallo spagnolo culterano ‘persona di fine cultura’) che s’inquadra nel barocco e fa dell’impervia preziosità lessicale, sintattica e retorica la sua filosofia.

Insomma, quello di ‘cultismo’ è un concetto che cammina sul crinale fra cultura meno accessibile per altezza e cultura che si rende meno accessibile per vanità. Una fotografia estremamente importante.


[*Parafrasi: Ti ricordi di quando, seduto alla ricca tavola di un suo amico, lo zio poté assaggiare vini di categoria formidabile in fragili calici, e in amicizia ne bevve un sacco, cosicché senza che se ne dovesse infrascare una di nascosto ne ebbe una bottiglia in regalo; ma poiché ubriaco camminando sbatacchiava sui muri la bottiglia si ruppe, e al suo spirito freddo non restò che piangere su un retrogusto da cui non si torna indietro?]

Parola pubblicata il 23 Aprile 2022