Botolo

bò-to-lo

Significato Cane piccolo, tozzo e ringhioso; persona litigiosa, stizzosa e innocua

Etimologia etimo dibattuto, forse dal latino botulus ‘salsiccia’.

Il cane è l’animale domestico più partecipe della vita umana — è quello che popolarmente capiamo meglio, che con una domesticazione lunga e cooperativa si è avvicinato di più a noi. Non è un caso che le parole che parlano del cane siano molte, e che siano in grado di darne un approfondimento perfino psicologico. Tanto che poi le usiamo per estensione anche sugli umani, con una permeabilità e un effetto icastico davvero impressionante.

Possiamo parlare della risposta che ci ha abbaiato la persona allo sportello (che già ci guardava in cagnesco), dell’amico col cuore spezzato che ci ulula il suo dolore al telefono, dei gioiosi guaiti dell’amica stonata che canta, di come il lacchè scodinzola al capo, di come ustolando cerchiamo scuse per avvicinarci al buffet.

Ora, il botolo è un tipo di cane fra i più noti — se ci fosse una Commedia dell’Arte canina, figurerebbe senza dubbio come maschera. È il cane piccolo, tozzo e ringhioso, che pare uno sgraziato nodo di rabbia, ed è considerato essenzialmente innocuo.

L’individuazione di questo tipo canino attraverso questo nome è estremamente antica.
Nel XIV canto del Purgatorio, nella cornice degli invidiosi, Dante ha un dialogo (per molti versi più surreale del solito) con due anime; in particolare una ha la lingua sciolta, quella di Guido del Duca — nobile romagnolo — e fa una panoramica sulla valle dell’Arno, notando i vizi che caratterizzano le popolazione che l’abitano dalla sorgente alla foce. Quando tocca agli aretini, riferito all’Arno che li incontra scendendo nella valle, venendo giuso, dice:

Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi più che non chiede lor possa

Purg. XIV, vv. 46-47

Cagnetti ringhianti più di quanto non si accordi alla loro potenza, alla loro forza (e qui il doppio fondo della metafora sta nell’epigrafe che campeggiava sullo stemma di Arezzo, a cane non magno saepe tenetur aper, cioè ‘spesso il cinghiale è preso da un cane non grande’).

Sull’etimologia che ci consegna questo botolo ringhiante, c’è stata una discussione lunga e accesa. Che sia parente del baud dell’antico francese, baut provenzale, che scaturiscono dal bald francone? Allora il botolo sarebbe fratello del baldo, uau. Che continui invece il latino buteo, il falco, l’aquila o in genere l’uccello che grida, magari con influenza del rotolare? Sembra più solida l’ipotesi che richiama il latino botulus, ossia la salsiccia — ma propriamente il budello, che proprio di qui nasce. Dopotutto, per il botolo, il physique du rôle è ben approssimabile all’insaccato.

Portando questo tipo nell’umano otteniamo un carattere litigioso, pronto alla stizza, e insieme pavido — con un risultato tanto spiacevole quanto innocuo, in una declinazione aggressiva della debolezza.
Possiamo parlare dei botoli scatenati in chat ma incapaci di avanzare critiche e proposte di persona, della reazione da botolo della vicina di casa che si affaccia alla porta gridando quando sente per le scale salvo richiuderla quando il rumore si avvicina, di come io e altri botoli ci arrabbiamo dello sgarbo subito ma non ne facciamo parola con chi ce l’ha inferto.

E la botola? L’apertura ribaltabile non c’entra nulla coi cani tracagnotti e irosi, quella è un diminutivo di ‘balta’, maturato nell’italiano settentrionale.

Parola pubblicata il 17 Marzo 2022