Carpandue

car-pan-dù-e

Significato Nome in dialetto torinese della varietà di mela antica ‘Carpandù’, tipica del Piemonte, più precisamente della Valle di Susa, con peduncolo corto e buccia giallo-verde piuttosto ruvida

Etimologia probabilmente da un antico nome è Carpendola o Curtipendola, che sta a significare ‘dal picciolo piccolo’.

  • «Non sanno di niente queste mele! – diceva mio padre. E mia madre diceva: – Ma Beppino, son carpandue!»

Anche se la maggior parte delle parole più bislacche e gustose di ‘Lessico famigliare’ sono sbraitate con irascibilità dal Professor Levi, carpandue vanta un pedigree targato Lidia Tanzi, la milanese madre di Natalia Ginzburg.

– Mangerò poco. Una minestrina, una braciola, un frutto. Recitava ogni giorno questo menu. Credo che le piacesse dire «un frutto», perché ne ricavava un senso di frugalità. Riguardo alla frutta, usava comprare sempre certe mele chiamate, a Torino, «carpandue». Diceva «son carpandue!» come diceva di una maglia «è di Neuberg!» e di un paltò: «è del signor Belom!»

In poche righe, Ginzburg dipinge a colori pastello un ritratto efficacissimo delle idiosincrasie e delle abitudini lessicali della sua eterea, distratta, allegra e meravigliosamente forte madre. Quando ci immergiamo nelle schermaglie tra i due genitori, sembra quasi di ascoltare un concerto, in cui la delicata Lidia Tanzi, che cinguetta con voce soave, a tratti leggermente troppo acuta, risponde leggiadra in contrappunto al basso appesantito, brontolante e spesso roboante del marito.

Come in tutte le famiglie, la tavola è uno dei luoghi prediletti per la discussione: il professore si lagna di quanto mangino la moglie e i figli («Non mangiar troppo! Farai l’indigestione!»), se in tavola c’è una pietanza che non gli piace («Perché fate la carne in questo modo? Lo sapete che non mi piace!»), o se, dato che apprezza la frutta matura, i figli gli rifilano le pere un po’ guaste («Ah, mi date le vostre pere marce! Begli asini che siete!»). Invece, se l’oggetto delle lamentazioni del professor Levi sono le mele, allora il dialogo procede così:

Quando capitava che mio padre si lamentasse delle mele che venivano in tavola, trovandole cattive, mia madre diceva stupita: – Cattive? Son carpandue!

Carpandue è la versione torinese, trasmessaci da Ginzburg, del nome di una varietà di mela autoctona del Piemonte: in realtà queste meline si chiamano Carpandù e il loro nome, così frufrù, viene a sua volta da Curtipendola, che indica la netta piccolezza del picciolo con cui il frutto è attaccato al ramo. In particolare, il peduncolo di queste mele viene definito negli schedari tecnici come ‘corto e grosso’. Una caratteristica molto peculiare che, quindi, ha finito con l’indicare la varietà di mela nella sua totalità.

Tornando al romanzo di Ginzburg, nel leggerlo, a forza di sbrodeghezzi e mele carpandue, ci ritroviamo impantanati nelle frequenti discussioni coniugali sulla qualità del cibo, sulle noie causate dai figli sparsi in giro per l’Europa a combattere il fascismo, sui parenti eccentrici e gli amici politicamente schierati. Argomenti che possono apparire anodini, ma è grazie a queste ciance di casa che, quasi senza accorgercene, entriamo a far parte di quella comunità costituita dal clan Levi, da Turati, Kuliscioff, Olivetti, Pitigrilli, Einaudi, Pavese, Balbo e molti altri. E ci si dipana davanti agli occhi una matassa di fili che costituiscono la trama di fatti importantissimi della storia politica ed intellettuale del nostro paese. All’ultima pagina ci dispiace terminare il libro, perché è come chiudere la porta di una casa accogliente, calda, caotica in cui si ha voglia di tornare ancora e ancora a mangiar mele carpandue per merenda.

Parola pubblicata il 27 Novembre 2022